Partiamo subito da una considerazione necessaria: ieri sui giornali abbiamo letto che è stata approva in via definitiva “la riforma” del processo penale, ma in verità non siamo davanti a una riforma, ma unicamente a un incarico al Governo per la scrittura della riforma, ancorché i principi da perseguire siano meticolosamente individuati.
Questa premessa era imprescindibile perché ancora una volta il Senato, approvando il Disegno di Legge n° 2353 di Delega al Governo per la riforma della giustizia penale (che sicuramente è migliorativo rispetto all’originaria proposta Bonafede), ha semplicemente inserito gli emendamenti voluti dalla Ministra Cartabia all’indomani dell’insediamento dell’esecutivo Draghi. Un’anomalia nell’anomalia che sta a dimostrare la sempre maggiore marginalità del Parlamento, chiamato a ratificare provvedimenti normativi del potere esecutivo o a delegarlo e a emetterli, così obliterando la propria funzione.
Ma veniamo a noi. Entriamo nello specifico e cerchiamo di capire cosa cambia.
Le uniche riforme di immediata attuazione sono la cancellazione della scellerata e populista riforma Bonafede della prescrizione, l’introduzione del codice univoco di identificazione per apolidi, persone la cui cittadinanza è sconosciuta e cittadini di Paesi non UE e l’estensione al reato di omicidio di tutte le garanzie per la vittima introdotte con il c.d. Codice rosso.
Per il resto, il provvedimento approvato attribuisce al Governo la delega a ridisegnare molti istituti del processo penale, dalla disciplina delle notificazioni e dell’effettiva conoscenza del procedimento alla celebrazione dei processi in assenza dell’imputato, dalla formazione degli atti all’informatizzazione dei depositi e dei registri, dall’aumento dei poteri di controllo del Giudice per le indagini preliminari all’introduzione di un’udienza filtro predibattimentale e all’estensione del numero dei reati di competenza del Giudice monocratico, da una revisione dei riti alternativi alla codificazione del calendario del processo e all’anticipazione del deposito delle relazioni di consulenti tecnici e periti, dalla introduzione di ulteriori filtri di ammissibilità delle impugnazioni alla sostanziale trattazione scritta dei processi davanti alle Corti d’Appello e alla Corte di Cassazione, dalle esecuzioni di sequestri e confische alla querela.
Ma le novità di maggior rilievo sono costituite dalla codificazione della “ragionevole previsione di condanna” come parametro al quale dovrà informarsi la proposizione della richiesta di archiviazione e della sentenza di non luogo a procedere, l’introduzione dell’istituto dell’improcedibilità dei giudizi d’Appello e di Cassazione, che a regime (dal 1° gennaio 2025) dovranno essere celebrati entro 2 anni ed 1 anno, e la riproposizione dell’Ufficio del processo, una sorta di squadra del Giudice che dovrà svolgere tutte le attività connesse alla celebrazione dei processi ed alla redazione dei provvedimenti.
Se alcune delle innovazioni, come l’accelerazione sull’informatizzazione del processo, paiono apprezzabili, il complesso della riforma evidenzia le pregiudizialità su cui si fonda, al pari di tutte le precedenti: la diminuzione delle garanzie per l’imputato, la tutela solo formale della vittima, la percezione di impunità che deriverà dalle innumerevoli dichiarazioni di improcedibilità, la mancata soluzione degli annosi problemi di deficit di personale (di magistratura e amministrativo) e di edilizia giudiziaria, per dirne alcuni.
Prevedere che, a fronte del sacrificio di diritti fondamentali, si assisterà all’ennesimo naufragio di una riforma della Giustizia è fin troppo facile