Alleanze? Sono necessarie. Il problema è quali. “Da tempo parlo di un campo largo delle forze democratiche in grado di reggersi su tre gambe. Letta ha spiegato bene lo schema sul quale lavorare. La gamba socialista, popolare e cattolico-democratica già c’è. È il Pd, ora rafforzato e per ragioni oggettive motore centrale dell’alleanza. Il M5S sta vivendo una fase difficile, ma Conte rimane molto alto nel gradimento personale ed è sciocco sperare nel suo fallimento. Ciò che manca è il soggetto liberale di cui tutti parlano, che potenzialmente avrebbe molti leader di qualità, ma che non riesce a unirsi, a contare, a distaccarsi in alcune sue parti dalla deriva estremista della destra italiana. Anche su questo tifo affinché riesca lo sforzo in atto”.
Così Goffredo Bettini, dirigente nazionale del Pd, in una intervista pubblicata stamattina da Repubblica esprime la sua opinione circa le prospettive del centrosinistra.
“Sono stato un fautore del maggioritario alla nascita del Pd, quando l’Italia sembrava andare verso il bipartitismo. Ora è diverso. C’è stata una frammentazione, è aumentato l’astensionismo, la rappresentanza è debole. Partiti autonomi, con profili ideali e programmi chiari, migliorerebbero il rapporto tra le istituzioni, troppo aeree e autoreferenziali, e il popolo, che si percepisce in buona parte abbandonato e senza voce. È il momento di ragionare su una legge elettorale proporzionale con serenità e senza preconcetti”, aggiunge Bettini.
“Letta ha parlato di un campo largo. Il campo è largo – osserva – se inclusivo e in esso non agiscono veti e pregiudiziali. Spero che a un certo punto prevarranno senso di responsabilità e la necessità dell’unità. Le differenze ci sono. Derivano dagli orientamenti dei rispettivi elettorati. Anche per questo vedo difficile una sintesi a priori, inevitabile con la legge maggioritaria, mentre penso possibile un limpido compromesso di governo successivo al voto, con un programma in grado di sostenere la riscossa italiana. Per contenere possibili slealtà dei partiti, la stabilità di governo andrebbe rafforzata istituendo la soglia del 5% e la sfiducia costruttiva. Non mi pare, d’altra parte, che il maggioritario abbia evitato trasformismi, crisi e incursioni della cattiva politica”.
Al tempo del Conte II “la linea di Zingaretti, di Orlando, di Franceschini, mia e degli organismi dirigenti del partito si riferiva ad una fase nella quale Conte era di fatto centrale. L’avevamo votato come primo ministro. Andava rafforzato, aiutato ed anche corretto, se necessario, perché altrimenti l’Italia avrebbe pagato un prezzo salato. Conte ha guidato il governo attraversando la pandemia e una catastrofe economica. Il Pd, insieme a lui, uscì bene dalla prova. Sulla lotta al Covid siamo stati esempio per tanti altri Paesi, abbiamo conquistato ingenti risorse europee e garantito la tenuta sociale. Questi risultati non vanno dimenticati. Piuttosto rivendicati. Ci permisero allora, con la guida di Zingaretti, di vincere tante grandi regioni italiane. Oggi è tutto cambiato. Il Pd e i 5S mantengono una linea unitaria, ma giustamente marcano di più la loro autonomia e identità. E Letta in questi mesi si è guadagnato sul campo un ruolo preminente di raccordo e proposta. Dico a Morando: non facemmo un errore allora. E stiamo agendo bene oggi. È la politica bellezza… il contrario dell’ideologia”.
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