Il Ddl Zan è morto. Era già morto da quando, quest’estate, si era deciso di rimandarlo a settembre. I numeri non c’erano allora e non ci sono stati oggi in Senato, perché la posta in gioco politica era troppo alta: da un lato la volontà di tenere buono l’elettorato moderato (parola in Italia priva di senso perché di moderato è rimasto poco e nulla. Andrebbero chiamati col loro nome: i bigotti); dall’altro la promessa strappata da Forza Italia a Lega e Fratelli d’Italia di supportare la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Promessa che, evidentemente, veniva con un prezzo da pagare, con buona pace di chi, dentro Forza Italia, si era mostrato favorevole al Ddl Zan e di chi, come Anna Maria Bernini, riempie i suoi canali social di bandiere arcobaleno ma poi, alla resa dei conti, vota per la tagliola.
Politica, nient’altro. E non dovrebbe nemmeno stupire più di tanto anzi, ci si dovrebbe chiedere come mai questa legge, su cui l’Italia è spaventosamente indietro rispetto al resto d’Europa non sia stata portata avanti politicamente con maggiore successo. Il primo firmatario della legge, Alessandro Zan, aveva già compiuto un errore madornale, sostenendo che si stava andando a votare ‘tenendo le dita incrociate’: la politica non si fa coi pronostici, ma con i numeri. E poi c’è stata la capitolazione di Enrico Letta a Che Tempo che Fa, che ha aperto a delle mediazioni, che su una legge già poco incisiva come la Zan avrebbero comportato la mutilazione di quelli che erano i principi cardine, primo tra tutti la tanto vituperata identità di genere.
Il Ddl Zan è morto e con lui anche la possibilità di compiere un passo in avanti verso un paese più inclusivo. I dati parlano chiaro: secondo il sito www.omofobia.org, un portale che raccoglie i casi di aggressione omofobe nel nostro paese, i casi a tutto il 2021 sono stati 1.021. Numeri che si annacquano nelle infinite polemiche intorno al DDL Zan, nella narrazione falsa e bugiarda della destra che ancora oggi blatera di difesa della libertà.
Libertà di chi, verrebbe da chiedersi. Di chi continua a rivendicare il diritto di insultare, di picchiare, di fare del male mentalmente e fisicamente alle persone Lgbtqi+. La violenza fisica è solo una parte della storia: esiste un male psicologico che stringe la comunità queer italiana in una morsa di cui pochi sono consapevoli.
In occasione della Giornata contro l’Omofobia Gay Help Line, il servizio di aiuto e sostegno alle persone gay in Italia, ha reso noti i suoi dati. Li riportiamo di seguito:
“In Gay Help Line riceviamo più di 50 contatti al giorno (tra linea e chat) più di 20.000 l’anno.
Circa il 60% degli utenti rientrano nella fascia di età 13-27. L’incidenza del pregiudizio e della discriminazione ha un peso particolare sui ragazzi: questo perché i problemi iniziano già con il coming out in famiglia.
I dati evidenziano che nell’ultimo anno 1 giovane LGB su 2 ha avuto moderati o gravi problemi in famiglia in seguito al proprio coming out. La percentuale sale al 70% se il coming out riguarda l’identità di genere, ovvero le persone trans.
Per il 36% dei minori la reazione al coming out ha visto il rifiuto da parte dei familiari o dei propri pari, la repressione agita attraverso l’isolamento, la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di conversione attraverso pressioni sull’espressione del genere e della sessualità, la violenza verbale e violenza fisica.
Per il 17% dei ragazzi maggiorenni che hanno contattato Gay Help Line il coming out ha comportato la perdita del sostegno economico da parte della famiglia: la maggior parte di questi sono stati di conseguenza abbandonati e messi in strada. La casa Refuge Lgbt+ accoglie questi ragazzi e li supporta perché riescano a superare il trauma subito e a raggiungere la propria autonomia attraverso la formazione e la ricerca del lavoro.
Le vittime fanno fatica a denunciare: il fenomeno dell’under reporting incide in maniera preoccupante sul riconoscimento dell’entità delle discriminazioni e delle violenze. I dati della Gay Help Line ci dicono che nell’ultimo anno, periodo covid, i ricatti e le minacce subiti dalle persone lgbt sono passati dall’11% al 28%. I casi di mobbing e discriminazioni sul lavoro dal 3 al 15%.
Inoltre, nell’anno in cui la pandemia ha limitato la socializzazione al web, il 30% degli studenti lgbt+ che ha contattato la Gay Help Line ha detto di aver subito episodi di cyberbullismo e hate speech online”
Come cresce oggi una persona giovane omosessuale, bisessuale, transessuale in Italia? Come può vivere serenamente la propria vita, diritto costituzionalmente garantito, sapendo che c’è una probabilità molto alta che il suo coming out lo porterà in mezzo a una strada? Come affronta la prospettiva che non potrà, con ogni probabilità, avere una famiglia, dei figli, un matrimonio egualitario a chi è diverso da lui solo nell’orientamento sessuale? Quanta influenza ha il crescere e vivere in un Paese dove, come è successo a Carlo Tumino e Christian De Florio, i ‘papà per scelta’ sui social, le coppie omosessuali con figli vengono fermate all’aeroporto di Milano perché bisogna assicurarsi che ‘i bambini non siano stati rapiti’?.
Quante di queste domande sono state mai poste nell’Aula del Senato? Quando la politica si è messa al servizio della vita quotidiana, e non di sé stessa?
Il Ddl Zan oggi è morto, e nessuno è veramente sorpreso. Perché tra tutte le varie cose cui ci siamo amaramente abituati è che all’interno di quei palazzi la vita non entra. Ma sulla nostra vita si fanno i conti.
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