Non c’era bisogno di leggere mail spregevoli e tentativi di sabotaggio di avversari politici e giornalisti per sapere cosa sia stato il renzismo in questo paese.
D’altra parte, il circo Barnum che lo ha adulato nella sua ascesa, digerito durante il suo potere e poi infine sputato (nella migliore tradizione del trasformismo italico) quando è caduto dalla seggiola per via elettorale, il massimo che poteva produrre era una copia apocrifa di House of Cards alla amatriciana.
Rondolino, Carrai e compagnia bella sono carta conosciuta, l’apoteosi della spregiudicatezza, l’aspirazione provinciale e un po’ patetica a diventare razza padrona.
Un puro esercizio di cinismo che non può essere solo ridotto a un giudizio estetico sul degrado del dibattito politico.
Non è insomma un problema di cattiva educazione.
La questione morale che emerge dalle carte della Procura di Firenze e la disinvoltura con cui venivano spesi soldi e costruite macchine del fango sono il prodotto di un’idea della politica che cancella il conflitto sociale, che diventa ascara dei poteri che contano, che perde autonomia, che considera i partiti uno strumento per una scalata sociale individuale e non un’idea di emancipazione collettiva.
Sono la proiezione di una lettura feudale dei rapporti di forza nella società.
Per questo li abbiamo combattuti prima, quando le procure tacevano, i padroni applaudivano, i media dormivano.
Bastava guardarli all’opera per capire dove andavano a parare con il loro avventurismo e la loro arroganza.
Esattamente dove abbiamo deciso di non andare noi.
So che in pochi lo riconosceranno, ma ricordarlo ogni tanto fa bene al cuore e alla mente e anche a rinnovare le ragioni di un impegno.
Argomenti: matteo renzi