Acque agitate nel centrodestra che continua ad ostentare compatezza e lealtà sulla scelta di Silvio Berlusconi come candidato al Quirinale.
In realtà l’operazione di portare Berlusconi al Colle, ribattezzata “Operazione Scoiattolo” si sta complicando e non poco e il leader di Forza Italia rischia di mandare a sbattere l’intera coalizione contro uno scoglio con l’incognita di quale conseguenze questo possa portare.
Silvio Berlusconi resta ad Arcore, il vertice di centrodestra con Matteo Salvini e Giorgia Meloni che si sarebbe dovuto tenere giovedì 20 gennaio non è stato convocato e al momento risulta in stand by.
Dalla Lega a Fratelli d’Italia ai centristi la convinzione che prevale è che la candidatura di Berlusconi sia su un binario morto, “ma – spiega una fonte parlamentare di FI – bisognerà vedere chi avrà il coraggio di dire al Cavaliere l’indisponibilità dei suoi alleati”. Perché al momento il leader azzurro e’ ancora fermo.
Berlusconi è rimasto a Milano e il vertice è ‘congelato’. Secondo fonti parlamentari FI l’ex premier oscilla tra la tentazione di evitare la conta e la determinazione a chiedere una prova di lealta’ da parte delle altre forze politiche dell’alleanza. In ogni caso prende tempo, punta alla ‘sfida’ in Aula, mentre Lega e Fdi aumentano il pressing. Sia Salvini che Meloni hanno messo in conto di fare una proposta nell’eventualità che l’ex premier si faccia da parte. Ma questa non è l’unica questione che tiene banco in vista dell’elezione del successore di Mattarella.
I nodi da sciogliere
La grana dei positivi al Covid è il primo. Non c’è un numero preciso ma con le attuali regole potrebbero essere oltre cinquanta i parlamentari a non votare da lunedì il successore di Mattarella. Oggi a Montecitorio è passato un ordine del giorno di Fratelli d’Italia ma la questione resta ancora irrisolta, “servirebbe – spiega anche un questore – un decreto o un provvedimento del governo”. C’è chi invoca una circolare del ministro Speranza per cercare di trovare una soluzione ma dall’esecutivo si spiega che il tema è di materia parlamentare, anche se il governo si è impegnato a collaborare.
Il secondo nodo, in realtà, è legato al terzo, perché la partita del Quirinale è parallela a quella dell’esecutivo. Il premier Draghi ieri nei suoi incontri istituzionali avrebbe, secondo quanto è trapelato da fonti parlamentari, messo sul tavolo le problematiche che potrebbero nascere dopo l’elezione della presidenza della Repubblica, mantenendo come sempre il ‘low profile’ sulla sua eventuale candidatura.
Draghi è impegnato nel dl ristori, oggi ha presieduto una riunione in vista del Consiglio dei ministri di giovedì. Il suo obiettivo principale, lo ha detto più volte, è comunque garantire la prosecuzione della legislatura per evitare che ci sia un freno nella lotta alla pandemia e nella realizzazione del Pnrr.
Il ‘fronte no Draghi’ al Colle
È ampio e raggruppa singoli parlamentari di ogni forza politica. Nel gioco dei sospetti in tanti, tra ‘big’ e ‘peones’, stanno chiedendo ai vari leader di non esporsi sul Capo dell’esecutivo. Nei Palazzi la domanda che rivolge chi non intende votare l’ex numero uno della Bce è quale sarebbe l’atteggiamento del premier se non venisse candidato al Colle.
Il presidente del Consiglio non intende certamente pronunciarsi sul ‘dossier Quirinale’, soprattutto ora che siamo alla vigilia dell’inizio delle votazioni. Secondo fonti parlamentari della maggioranza avrebbe comunque garantito che non farebbe un passo indietro a patto che il quadro politico non si destabilizzi. Dunque eventualmente al Colle servirebbe una figura con la quale confrontarsi in una linea di continuità mantenuta finora con il Capo dello Stato Mattarella.
Nonostante Conte abbia ribadito di non tenere i suoi nel caso di una convergenza del centrosinistra su Draghi, con la tesi della necessità della continuità di governo, la prospettiva che si possa andare sull’ex numero uno della Bce non è tramontata. Anche perché il Pd resta sulla linea della necessità di salvaguardare ad ogni costo Draghi. Anzi il sospetto di una parte dei parlamentari M5s è che l’ex premier alla fine possa ‘cedere’, da qui il rilancio – di un gruppo di pentastellati – del Mattarella bis, con l’intenzione di chiedere la disponibilità al diretto interessato.
L’intenzione dei vertici è quella di non porre veti, quindi anche la direzione Draghi verrà esplorata nell’eventualità che si arrivi a siglare un patto di fine legislatura. Draghi non è il ‘piano A’ di Salvini e neanche quello di Berlusconi ma la sua candidatura resta in pista, soprattutto se si registrasse un’impasse, con i pentastellati, per ora recalcitranti all’ipotesi, che – auspica un ‘big’ dem – potrebbero convergere in extremis. Salvini punta su un’altra figura di centrodestra, qualora Berlusconi dovesse fare un passo indietro.
Anche Di Maio avrebbe sottolineato nell’incontro con Conte la necessità di preservare la figura di Draghi. “Se Berlusconi tiene bloccata la sua candidatura si arriverà in quella direzione”, osserva una fonte dem. Qualora il premier dovesse ‘traslocare’ al Colle la favorita per poltrona di palazzo Chigi resta l’attuale ministro della Giustizia, Cartabia.
La strada dei leader all’interno dell’esecutivo troverebbe comunque delle resistenze. Salvini l’ha proposta, per Renzi è un’opzione che “ha un senso” mentre Letta dice di avere molti dubbi ma non chiude la porta. Il partito di via Bellerio, in realtà, prefigura un rimpasto anche se Draghi dovesse rimanere a palazzo Chigi (punterebbe al dicastero degli Interni). C’è chi non esclude che Draghi possa aprire a qualche ritocco ma solo se si arrivasse ad una soluzione unitaria.
Potrebbe, quindi, rimanere il ministro dell’Economia Franco mentre potrebbero entrare esponenti politici al posto degli altri tecnici. Al momento, tuttavia, la trattativa è bloccata. L’ex fronte rosso-giallo attende la mossa del centrodestra ma il vertice dell’alleanza è ‘congelato’. Una schiarita potrà esserci nel fine settimana.
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