Berlusconi al Quirinale? No, meglio Riccardi.
Enrico Letta ripete che Andrea Riccardi “non è un candidato di bandiera”. Giuseppe Conte spiega ai cronisti che il fondatore della Comunità di Sant’Egidio “ha il profilo ideale”.
L’entusiasmo nel centrosinistra ha un fondamento nei numeri. In Parlamento Riccardi ha i voti per spuntarla al quarto scrutinio, quando il quorum per l’elezione a presidente della Repubblica si abbasserà da 672 a 505 voti. Conti alla mano, infatti, Riccardi gode del consenso di almeno 520 grandi elettori. Si tratta, peraltro, di conti fatti in maniera generosa nei confronti degli avversari del centrosinistra, e cioè escludendo Italia Viva (45 grandi elettori) e i 35 delegati regionali di area.
Ma pur tenenedosi bassi, alla quarta Riccardi potrebbe essere eletto presidente della Repubblica. Se infatti per lui votassero Leu (12), M5s (230), Pd (134), i due gruppi Misti (114), Coraggio Italia (22), le Autonomie (8), anche senza gli 80 voti di Italia Viva (che tuttavia con ogni probabilità lo voterebbe) e dei delegati regionali, Riccardi avrebbe 15 voti più del minimo.
Inoltre bisognerebbe considerare l’attrazione che il candidato del centrosinistra, nel voto segreto, eserciterebbe sui forzisti che, tra Camera e Senato, hanno 129 voti grandi elettori. Votando il fondatore di Sant’Egidio, gli azzurri resterebbero nell’area di governo e contribuirebbero ad eleggere un presidente di sicuro gradimento Oltretevere.
Per questo la candidatura di Riccardi viene letta nel M5s e nel Pd come una candidatura di peso, che non a caso è stata tolta dal tritacarne dei primi tre voti (il centrosinistra volterà scheda bianca).
Riccardi non è evidentemente un candidato condiviso, tant’è che Salvini ha già detto che il centrodestra, a cominciare dalla Lega, non lo sosterrà. Ma il suo nome ha il pregio di restringere molto il cerchio delle possibilità nella infinita trattativa. Nel caso in cui cioè saltasse il patto di legislatura tra centrodestra e centrosinistra (Quirinale-governo-riforme), patto che ha l’architrave nell’ipotesi di Mario Draghi al Colle, il fondatore di Sant’Egidio sarà il nome su cui Pd, M5s e Leu orienteranno i propri voti in Parlamento.
Quella, evidentemente, potrebbe essere anche la maggioranza su cui tentare di costruire un nuovo governo, spiegano fonti parlamentari di centrosinistra, che tuttavia ricordano come Draghi al Quirinale resti la prima soluzione.
“In sostanza la candidatura Riccardi fa scattare il timing per un’intesa su Draghi. Altrimenti si va alla conta e il centrosinistra il candidato ce l’ha ed è forte”, è la lettura che viene suggerita. Mercoledì potrebbe essere la giornata decisiva, come ipotizzano gli stessi Letta e Salvini.
Martedì dovrebbe esserci il tavolo comune tra tutti i gruppi parlamentari e si saprà se ci sarà finalmente un candidato votato dai due terzi dei grandi elettori (nel caso Draghi è super favorito), o se i due poli andranno ognuno per la sua strada cercando di conquistare quanti più voti possibili al centro.