di Alessia di Antoniis
Anche stavolta nessuna donna al Quirinale. La donna che ci andò più vicino fu Nilde Iotti: partigiana, madre costituente, prima donna presidente della Camera dove rimase per tredici anni. Ottenne 256 voti. Di nomi ne sono stati fatti tanti, Da Emma Bonino a Liliana Segre. Nomi sì, incarico no.
Per settimane “Una donna al Quirinale” è rimbalzato su media e social come un mantra. A tratti sembrava pura demagogia. Ma non la pensa così proprio una delle donne che si è battuta per questo cambiamento, la scrittrice Dacia Maraini.
“Una frase demagogica? non mi sembra. visto l’uso strumentale che si è fatto in questi giorni di alcuni nomi femminili mandati allo sbaraglio per puro tatticismo. Le donne sono spesso stimate per il loro lavoro, ma quando si tratta di dare loro il prestigio della rappresentanza, non si sa come, scompaiono. Ci sono ancora molte diffidenze nei riguardi della rappresentatività femminile. Pensi alla Chiesa, tanto per fare un esempio, che ha molta importanza nel nostro Paese: le suore, che pure sono donne, non possono nemmeno scegliere chi le rappresenterà”.
Neanche Nilde Iotti riuscì a essere eletta, eppure fece sperare tante donne. Era il 1992 e la sinistra ne fece un cavallo di battaglia. La stessa sinistra che a Draghi, appena nominato, non ha fornito un solo nome di una sola donna alla quale assegnare un ministero. Crede che andrà mai una donna alla presidenza finché attendiamo di essere candidate dagli uomini? I fatti dimostrano che ci sono pochissime probabilità. E ricordiamo che fra i 58 grandi elettori fuori dal Parlamento, solo 6 sono donne.
Quanto la mancanza di una corrente femminile compatta e coesa, riflette una mancanza di consapevolezza del proprio valore da parte di noi donne? Non è solo la mancanza di una corrente femminile coesa, ma si tratta di riflettere sulla storia. Sono duemila anni che le donne vengono colpevolizzate e ridotte al silenzio. Molte donne hanno finito per introiettare il disvalore a loro attribuito e si tirano indietro per paura di non farcela.
Emma Bonino nel 1999 si auto candidò. Se una donna capace e rappresentativa lo facesse di nuovo, quanto le donne, di qualsiasi partito, farebbero squadra? In quanto a Emma Bonino, certamente sarebbe una donna degna di rappresentare il Paese, ma viene da un partito che è sempre stato tenuto al margine e poco considerato. Comunque invito a pensare all’Italia, come una parte dell’insieme mondo. E il mondo non è certamente, nel suo
insieme, pronto a difendere l’emancipazione femminile. Anzi, direi che le reazioni contro le nuove conquiste femminili sono spesso temute e osteggiate.
Nonostante donne come Iotti, Anselmi, Bonino, Montalcini, Segre e altre, siamo ancora le cenerentole del Parlamento. Anche nel 2022 non è andata una donna al Quirinale. Da dove si dovrebbe partire per preparare il terreno per le prossime elezioni? E basteranno 7 anni per cambiare una politica maschilista, che però molte donne accettano? Certo che non basteranno 7 anni per cambiare la difficile condizione femminile. Non si cambia la storia in pochi mesi. Siamo ancora in pieno regime patriarcale, più o meno in crisi, ma solidamente sostenuto in molte parti del mondo.
Mattarella obbligato a restare, rappresenta il fallimento della classe politica italiana o anche di tutto l’elettorato? In una democrazia rappresentativa come la nostra, un Parlamento inadeguato rappresenta un elettorato inadeguato? La classe dirigente dovrebbe essere migliore del popolo che lo elegge. Dovrebbe essere costituito dal fior fiore dei cittadini, persone scelte per le loro qualità, per il loro equilibrio, per la loro capacità di mettersi al servizio del paese. Purtroppo non è così. Soprattutto con l’avvento del populismo, si è pensato che chiunque potesse andare in Parlamento e dire la sua, senza una preparazione politica, senza un vero apprendistato culturale. In questo modo si sono dissolti i partiti. Ora siamo di fronte a una confusione di persone, ciascuna delle quali che risponde solo a se stessa.