C’è vita a sinistra. E che vita. A Lisbona, però. Non a Roma.
Un tempo, tanto tempo fa, quando una generazione di militanti rivoluzionari guardava con passione ideologica alla Cina della rivoluzione culturale del presidente Mao, andava di moda il motto: “Imparare da Tachai”. Del tempo ne è passato d’allora. Tante speranze sono sfiorite. Oggi, in questi temi di una politica ridotta a suk, quel motto potrebbe essere riformulato così: “Imparare da Lisbona”. E da una sinistra che vince perché non rinuncia ad essere se stessa. Perché non si è bevuta il cervello con le farlocche credenze per cui si vince al “centro”. Si vince se si è “moderati”.
La lezione di Lisbona
E’ stato un successo superiore alle aspettative quello ottenuto dal primo ministro socialista portoghese Antonio Costa. Costretto ad andare alle elezioni anticipate, le ha vinte nettamente: per la seconda volta nella sua storia il partito socialista portoghese conquista la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, 117 su 230 con il 41,62% dei voti espressi.
L’ex sindaco di Lisbona, 60 anni, era salito al potere nel 2015 suggellando un’unione di sinistra senza precedenti dalla rivoluzione dei garofani del 1974, ma ora il risultato gli permette di formare un governo monopartitico e di non dipendere più dai suoi ex alleati della sinistra radicale, la stessa che aveva provocato queste elezioni anticipate negando il voto alla bozza di bilancio per il 2022.
I risultati riguardano tutte le circoscrizioni tranne quelle estere, che eleggono quattro deputati, ma possono essere considerati definitivi. Oltre alla vittoria dei socialisti risalta l’exploit del partito di estrema destra, Chega (Basta!) che col 7,15 % si posiziona terzo alle spalle dei conservatori del Partito socialdemocratico che mantengono all’incirca gli stessi voti del 2019, poco sopra il 27, 8%.
Le reazioni internazionali
“Anni di governo, grandi risultati e oggi ancora fiducia ai socialisti portoghesi e alla leadership di @antoniocostaps. Juntos seguimos e conseguimos”. Lo scrive su Twitter il commissario europeo agli Affari economici,Paolo Gentiloni.
“Congratulazioni, caro Antonio Costa, per la tua vittoria. Il Portogallo ha scommesso ancora una volta su un progetto socialdemocratico che unisce crescita e giustizia sociale. Insieme continueremo a promuovere nei nostri Paesi e in Europa una risposta socialista alle sfide che condividiamo”. Lo ha scritto su Twitter il premier spagnolo, PedroSánchez, commentando l’esito del voto.
“Bravo Presidente #Costa! Un grande risultato per il #Portogallo e per l’Europa”. Lo scrive su Twitter il segretario del Pd,Enrico Letta, commentando la netta vittoria nelle elezioni portoghesi per il Ps.
A Letta ci permettiamo molto sommessamente di chiederle quali lezioni ha tratto, se ne ha tratte, dal “modello portoghese”.
Lo scenario
Le elezioni anticipate sono state indette dopo che il governo guidato da Costa è caduto lo scorso novembre, a metà del mandato di quattro anni, avendo il Parlamento bocciato il bilancio generale per il 2022. I socialisti guidano il Portogallo da sei anni, nella storica alternanza che da decenni li vede al potere con i socialdemocratici.
Il voto è arrivato nel corso della pandemia del Covid-19, che proprio in questi giorni ha portato sul Paese una nuova ondata di contagi, alimentati dalla variante Omicron. Circa un milione di elettrici ed elettori era in isolamento in casa mentre le urne erano aperte, secondo i dati ufficiali: le autorità hanno previsto per loro la possibilità di uscire in via eccezionale per votare.
La posta in gioco, infatti, è alta: Lisbona si prepara a dispiegare 45 miliardi di euro in fondi dall’Ue per rilanciare l’economia e i portoghesi vedono quelle risorse come un’opportunità. Per due terzi è previsto i fondi siano destinati a progetti pubblici, come le infrastrutture, mentre un terzo è rivolto alle compagnie private.
Il presidente Marcelo Rebelo de Sousa, parlando alla nazione in occasione del voto, aveva chiesto alla cittadinanza di andare alle urne, definendo le elezioni “un modo per dire che niente e nessuno può zittire la vostra voce”, mentre i prossimi anni saranno dedicati alla missione di “lasciare dietro le spalle una dolorosa pandemia e di ricostruire urgentemente l’economia”.
Le prime dichiarazioni
“Aspettiamo i risultati definitivi, ma c’è un dato più o meno evidente: il Partito Socialista ha vinto queste elezioni”: è stata la prima reazione di Costa ieri notte, quando lo spoglio dei voti non era ancora concluso. Costa ha fatto questa dichiarazione alla televisione pubblica portoghese, Rtp, che l’ha raggiunto nella sede dei socialisti a Lisbona. “Spero che tutti i partiti leggano il risultato elettorale. Due anni dopo, un secondo rafforzamento, segno che (i portoghesi) vogliono che il Partito socialista governi. Spero che questo lo capiscano tutti”, ha aggiunto il primo ministro portoghese, che finora ha governato con il sostegno di altre formazioni di sinistra.
Il coraggio delle idee
Che sia stato uno straordinario successo personale è fuori di dubbio. Il successo di un instancabile uomo politico che riuscì a ribaltare una sconfitta nel 2015, formando un governo con un’inedita alleanza di sinistra. Costa Ha messo a segno una vittoria tutt’altro che scontata, visto il fallimento del suo ultimo governo: era ‘scivolato’ sull’approvazione della legge di bilancio e un’estenuante pandemia; ha vinto le elezioni con un’ampia maggioranza e che i sondaggi davano in bilico.
Socialista pragmatico, Costa è arrivato al potere grazie alla sinistra radicale, formando la ‘geringonça’ (“il marchingegno’ in spagnolo), l’accordo tra il PS, i comunisti e il Bloco de Esquerda: erano state superate le divisioni pur di porre fine alla politica di austerity voluta dalla destra in cambio del piano di salvataggio internazionale concesso al Portogallo nel 2011.
Nel 2019 ha consolidato e riconfermato la vittoria con una maggioranza semplice: ha abbandonato la ‘geringonça’, ma a ottobre non è riuscito a far approvare il bilancio 2022. E se nel 2019, dopo quattro anni con il sostegno della “geringonça”, era evidentemente il favorito nei sondaggi, questa volta i sondaggi lo davano in stallo tecnico con la destra dei socialdemocratici.
Costa è entrato precoce in politica: figlio di uno scrittore comunista dell’ex colonia portoghese di Goa (in India) e di una giornalista, il premier, scherzano i suoi collaboratori, “ha bevuto la politica nel latte di sua madre”.
A 14 anni incollava per strada i manifesti del Partito Socialista, poi decise di studiare legge per essere come Perry Mason. Marcelo Rebelo de Sousa, oggi presidente del Portogallo, era il suo professore all’università; ha debuttato come avvocato nell’ufficio dell’ex presidente Jorge Sampaio ed è stato sponsorizzato dai grandi del socialismo portoghese, da António Guterres a Mário Soares e José Sócrates.
Sposato – la moglie lo ha accompagnato per tutta la campagna – e con due figli, ora il leader socialista, noto per essere un lavoratore instancabile, ha davanti a sé una nuova sfida: guidare il Portogallo sulla via della ripresa dopo la pandemia.
Annota Daniele Mastrogiacomo su La Repubblica: “A vincere è soprattutto il primo ministro. Per António Costa, uno dei più longevi politici portoghesi dai tempi della Rivoluzione dei garofani tanto da attirarsi il soprannome di “Duracell”, era un banco di prova decisivo. «Se perdo», aveva detto, «mi dimetto». Con la sconfitta del partito di cui è stato segretario per quattro volte consecutive, dosando intransigenza e flessibilità all’interno, sorrisi e foto rassicuranti all’esterno, l’ex sindaco della rinascita di Lisbona, si giocava la leadership e il suo futuro politico. Dopo aver attaccato il suo diretto avversario, il leader dei socialdemocratici Rui Rio e aver chiesto un bottino pieno, ha impresso una svolta alla sua strategia. Ha rinunciato a conquistare la maggioranza dei seggi, pretesa che gli aveva attirato le antipatie dei portoghesi. Si è guardato attorno, ha cercato ovunque alleanze. Ha strizzato l’occhio anche al centro destra, esclusi gli estremisti di Chega…”.
Ha fatto qualcosa, e tanto, di sinistra
Scrive Antonio Buttazzo su Blitzquotidiano.it: Non ci credeva nessuno che Antonio Costa avrebbe fatto funzionare “a geringonça” il trabiccolo, come gli scettici chiamavano la sua alleanza di Governo.
E invece questo Avvocato caparbio e gentile ci è riuscito eccome.
Con un’azione di Governo moderata e pragmatica ha abbattuto il debito pubblico. E trovate le risorse per finanziare le aeree più disagiate del Paese. Abbassando la disoccupazione e aumentando il salario minimo. Insomma ha fatto qualcosa di sinistra.
Ha poi mantenuto buoni rapporti con Bruxelles pur avendo accettato le imposizioni europee nella stagione della crisi del debito.
Il Paese si è poi incamminato in una serie di riforme economiche – favorite dal basso livello di deficit che è scaturito dagli interventi suggeriti dalla UE – che ha attirato importanti investitori internazionali.
Anche se, bisogna aggiungere, non ha dovuto fare i conti con i sovranisti e gli euroscettici che imperversano nel resto dell’UE […].E intanto si preparano a tornare protagonisti in Europa, sfruttando lo storico vantaggio di essere il trampolino del Vecchio Continente verso le Americhe.
Dalle coste di Sines, la cittadina che diede i natali a Vasco de Gama, partono infatti le fibre ottiche del cavo sottomarino ElleLink. Che arriva fino a Fortaleza in Brasile. E che permette la trasmissione di dati ad alta velocità. Ma che soprattutto permette di bypassare “il controllo” che attualmente hanno gli americani nel traffico digitale dall’America Latina all’Europa.
Oltre a garantire come ha detto il ministro portoghese alla transizione digitale Pedro Sizia Vieira, un maggior controllo sul traffico globale di internet, garantendo la sicurezza delle comunicazioni.
Una leadership in un campo di straordinaria importanza per il futuro dell’Europa, opportunamente affidata ad un Paese che sta dimostrando di essere all’altezza delle migliori aspettative…”.
Pedro Videla, economista della Iese Business School, ha spiegato al Sole 24 Orequali dovrebbero essere le priorità per il prossimo governo: “Riavviare gli investimenti pubblici, rafforzare il sistema bancario, rendere sostenibile il sistema pensionistico. Nel lungo periodo, aumentare la produttività, migliorare i dati sulla scolarizzazione e la formazione dei cittadini, ridurre le evidenti disuguaglianze sociali, gestire l’invecchiamento della popolazione e le migrazioni”.
E qui sta un’altra anomalia, tutta portoghese: i migranti non sono visti come una minaccia, come avviene praticamente in ogni angolo d’Europa, grazie anche alla propaganda incessante delle forze di estrema destra, peraltro spesso imitati e rincorsi sul tema dai leader di sinistra che vivono nel timore di perdere consensi. In Portogallo (anche per questioni storiche e culturali) gli stranieri sono visti e accolti come “portatori di opportunità economiche in un paese sempre più vecchio e bisognoso di giovani lavoratori”, come scrive il Post, ricordando che lo stesso premier Costa è nato a Maputu, in Mozambico, ex colonia portoghese in Africa, ed è figlio di un indo-portoghese originario della città indiana di Goa. Lo stesso Costa, in campagna elettorale, si è apertamente scagliato contro le “mode anti-immigrazione. “Non tollererò retoriche xenofobe. Il Portogallo ha bisogno di più immigrazione e più persone che lavorino per il nostro paese”. In questo senso s’inquadra anche la politica di facilitazione fiscale: tasse zero per i pensionati stranieri che scelgono di prendere lì la residenza, come ben sanno molti italiani.
Costa ha vinto la sfida determinante di riuscire a risanare il bilancio e sostenere le spese per venire incontro ai redditi più bassi. Ha aumentato il salario minimo e ridotto l’orario di lavoro per i pubblici dipendenti e nello stesso tempo ha abbassato alcune tassazioni che colpivano i ceti produttivi e il terziario. Anche nel settore dei diritti civili sono state approvate dal Parlamento normative che tutelano gli omosessuali e recentemente anche l’eutanasia per persona in grave stato di sofferenza fisica con il rispetto dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario contrario. Non basta?
Il modello portoghese, dalla “guerra alla droga” alla tutela della salute.
Il modello prova che nella gestione delle sostanze stupefacenti, la criminalizzazione non è l’unica soluzione possibile. Il Portogallo è stato il primo Paese al mondo ad aver spostato il focus dell’intervento pubblico dalla “guerra alla droga”
alla tutela della salute, decriminalizzando l’uso e il consumo di tutte le sostanze stupefacenti. Negli ultimi anni, altri Paesi hanno percorso strade simili, come il Canada e l’Uruguay, che hanno completamente legalizzato la cannabis.
I pilastri della politica di depenalizzazione portoghese
Il modello portoghese si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo è il rifiuto della distinzione tra droghe leggere e pesanti, e l’introduzione al suo posto della distinzione tra relazione positiva e negativa con le sostanze stupefacenti. Il secondo è l’idea che esistano sempre problematiche preesistenti alla base di un relazione negativa con le droghe, derivanti dalla natura dei rapporti tra gli individui e tra la società e l’individuo .Il terzo è il principio per cui l’eradicazione di tutte le droghe non può essere un obiettivo realizzabile.
Pur non prevedendo la legalizzazione delle sostanze stupefacenti, questo tipo di approccio si concentra sulla tutela della persona e non sulla punizione dei consumatori. Dal 2001, il modello portoghese ha dimostrato la sua efficienza nel garantire il diritto alla salute della cittadinanza e nel migliorarne le condizioni di vita. Per questo, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umanil’ha indicato come esempio virtuoso, con cui sostituire le politiche di criminalizzazione.
Ben scavato vecchia talpa lusitana.
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