L’ha scritto, papale papale, il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. L’hanno ripetuto, sia pure con declinazioni diverse, il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: la fine del governo Draghi è un regalo a Putin. C’è poi un sottinteso, ma neanche tanto, che connota questa lettura sulla genesi della crisi e sui suoi “mandanti” esterni. Chi l’ha provocata è un sodale del presidente guerrafondaio russo e magari sta pure nel suo libro paga.
Il “nemico esterno”
Quando non s’intende riflettere sui propri errori, si cerca una via di fuga evocando un nemico esterno a cui addebitare il male, finendo per sorvolare, o quanto meno minimizzare, l’inettitudine della classe politica italiana, con rarissime eccezioni. Un campo progressista, quello dei Democratici e Progressisti, la dizione della lista varata dal PD per le elezioni del 25 settembre, che fa fatica a definire una sua idea forte, non subalterna al pensiero mainstream in mimetica, per cui il discrimine è sostenere, anche sul piano militare, l’aggredito (l’Ucraina) contro l’aggressore (la Russia). E’ un mantra ripetuto in questi 150 giorni di guerra che non sfonda in quel mondo solidale, pacifista, disarmista, che ha dato vita, sabato scorso, ad una mobilitazione nazionale, bella, colorata, plurale, che ha animato oltre 50 piazze italiane. Una giornata di festa e di lotta promossa da più di 400 organizzazione.
La Cgil c’è.
Di quel mondo che crede nella pace giusta e che rigetta la guerra “giusta”, fa parte la Cgil. Di grande interesse è la riflessione, su Collettiva, di Salvatore Marra, responsabile dell’area politiche europee e internazionali del sindacato guidato da Maurizio Landini.
Scrive Manna: “Le piazze italiane tornano a riempirsi contro la guerra e per la pace. La Cgil, con la coalizione Europe for peace – Stop the war now, chiede che ci si impegni per il cessate il fuoco e per un negoziato. Le considerazioni del responsabile dell’area politiche europee e internazionali del sindacato di Corso d’Italia
Quella di oggi (sabato 23 luglio) è una giornata d’impegno per non dimenticare che all’interno dell’Europa c’è una guerra in corso. Troppo spesso, infatti, sentiamo dire che la guerra è alle nostre porte. È un errore: il conflitto è nel cuore del continente europeo. Purtroppo, però, come accaduto con il Covid, pare esserci una sorta di assuefazione, come se ci fossimo abituati al fatto che la guerra possa esistere anche qui, nonostante la pace rappresenti storicamente uno dei valori fondanti dell’Unione europea.
Per questo motivo, per la Cgil è essenziale mantenere attiva la società civile e chiunque pensi che non ci possa essere alternativa diversa da quella pacifica. Riteniamo che l’Europa debba impegnarsi di più, a tutti i livelli, a partire da quelli istituzionali, per individuare una soluzione negoziata al conflitto che parta da un cessate il fuoco, risparmi le vittime civili e restituisca la pace a un Paese come l’Ucraina, martoriato dalle bombe ormai dal 2014.Con questo obiettivo scendiamo in piazza e continuiamo la nostra mobilitazione.
In realtà, già da prima dell’avvio del conflitto, eravamo consapevoli delle difficoltà esistenti in quell’area. Fin dalle rivolte di Maidan del 2014, infatti, abbiamo lavorato con i sindacati ucraini dentro la struttura regionale del sindacato internazionale – il Perc – e la Cgil stessa fa parte del gruppo di monitoraggio dell’accordo bilaterale Unione Europea-Ucraina sugli scambi commerciali. Negli ultimi otto anni abbiamo sempre seguito con attenzione quello che accadeva nel Paese e, in questo periodo, abbiamo sostenuto il movimento pacifista e per la democrazia non solo in Ucraina ma anche in Bielorussia dove recentemente sono stati arrestati tutti i leader del sindacato libero indipendente e molta parte del movimento democratico. Anche in Russia siamo in contatto con i sindacati autonomi e indipendenti e con il movimento pacifista.
Per l’Ucraina ci siamo attivati in tanti modi, a livello diplomatico e politico attraverso manifestazioni che hanno coinvolto la società civile ma lo abbiamo fatto anche con azioni umanitarie. In questi mesi abbiamo consegnato quattro carichi di materiale di primo aiuto raccolto dalla Cgil con il supporto delle strutture territoriali e delle nostre categorie nazionali, abbiamo istituito un fondo di solidarietà che, insieme a quello unitario con le imprese, servirà – speriamo presto – per la ricostruzione del Paese. Abbiamo inoltre partecipato a varie carovane e anche all’evacuazione di 63 bambini dal Donbass e messo in piedi tantissime iniziative locali tra le quali, ad esempio, un progetto appena finanziato dall’Emilia Romagna tramite la ong di cooperazione Nexus sempre per fini umanitari. Ci sono poi tante altre attività che stiamo portando avanti e che proseguiranno nei prossimi mesi: sembrerebbero piccole ma hanno un grande valore e ci tengono uniti ai sindacati ucraini più rappresentativi – Fpu e Kbpu.
A livello europeo, la prima cosa che abbiamo chiesto è una mobilitazione della Confederazione europea dei sindacati con l’organizzazione, il prossimo autunno, di un’iniziativa specifica sulla pace e sull’Europa che contraddistingua il sindacato il cui non può che essere quello della difesa della democrazia, della pace, dei diritti umani e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Senza la pace, infatti, non può esistere lavoro dignitoso. Lo stabilisce l’Oil nella raccomandazione 205 ma lo afferma anche il trattato di funzionamento dell’Unione europea, così come la Conferenza sul futuro dell’Europa che dedica alla pace un pensiero specifico e un ruolo specifico all’interno della costruzione europea.
Insieme a tutti i sindacati europei e ad altri sindacati del mondo intendiamo chiedere che, come avviene questioni decisive a livello mondiale, venga realizzata una conferenza sulla pace, da tenersi annualmente: come avviene per la Cop-27 per il clima, che si terrà quest’anno a Sharm el Sheik, vorremmo quindi una Cop della pace perché la pace non va rivendicata solo quando c’è la guerra ma va costruita e mantenuta sempre. Per questo, credo che l’appello del Papa sia fondamentale, anche se purtroppo resta ancora inascoltato.
Il senso fondamentale della giornata di oggi e di tutto quello che faremo nei prossimi mesi è proprio questo: non si può tacere davanti alla guerra, anzi occorre continuare a far sentire la propria voce sempre. Nelle pratiche quotidiane, infatti, i governi possono decidere se spendere il 2% del pil in armi o in corpi civili di solidarietà, in educazione civica e alla pace, se impiegare le proprie energie diplomatiche nella risoluzione dei conflitti o nell’armare i conflitti. A ben vedere tutto questo ha molto a che vedere con altre crisi che ci troviamo ad affrontare, come quella climatica: è notizia di questi giorni, ad esempio, che la commissione europea, nel prepararsi a un inverno senza il gas russo allenterà le proprie misure sulle emissioni per poter utilizzare energia prodotta da carbone. In altre parole distruggiamo il pianeta due volte: con la guerra e con l’inquinamento. No, per noi tacere non è possibile e l’unica cosa che, in questo momento, dovrebbe farlo sono le armi”.
Cosi Marra.
“Proprio nei giorni di crisi in cui la politica di Palazzo ha mostrato la corda e il Presidente della Repubblica ha dovuto sciogliere le Camere ridando la parola agli elettori – dice Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo – il movimento pacifista mette in campo una proposta forte che dà voce alla maggioranza dell’opinione pubblica contraria all’invio delle armi e favorevole a iniziative concrete di pace”.
“Che la guerra non sia la soluzione, ma una delle principali cause delle crisi da cui il nostro sistema e la nostra società non riescono più a liberarsi, è sempre più evidente”, gli fa eco Sergio Bassoli, coordinatore dell’esecutivo della Rete italiana pace e disarmo. “La guerra – afferma – scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime e di ogni unità di prodotto, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo”. E allora, ribadisce Bassoli, a Sergio Liverani di Avvenire, “dire basta alle guerre e alla folle corsa al riarmo è nell’interesse di tutti e di tutte”
“La condanna dell’aggressione e la solidarietà con le vittime sono il punto di partenza – ribadiscono i promotori – ma non bastano”. L’obiettivo è “una grande alleanza della società civile europea, che si riconosce in cinque punti»” Uno, la condanna dell’aggressione russa all’Ucraina, la difesa della sua indipendenza e sovranità, la piena affermazione dei diritti umani delle minoranze e di tutti i gruppi linguistici presenti in Ucraina; due, la solidarietà con la popolazione ucraina, i pacifisti russi e con gli obiettori di coscienza di entrambe le parti; tre, il rilancio del cessate il fuoco per l’avvio di un immediato negoziato in cui sia protagonista l’Onu; quattro, la de-escalation militare come leva fondamentale per l’iniziativa diplomatica e politica; e infine cinque, la costruzione di un sistema di sicurezza condivisa in Europa, dall’Atlantico agli Urali, fondato sulla cooperazione e il disarmo per un futuro comune.
Incalza Fabio Alberti, presidente di “Un Ponte per”: “Chiediamo che l’Europa giochi un ruolo diverso in questo conflitto in direzione del negoziato, perché la guerra può essere risolta solo con un accordo politico e la necessaria mediazione che richiede un’azione importante dell’Europa”. Alberti insiste anche sulla necessità di un approccio multilaterale alle trattative diplomatiche, poiché “sullo sfondo c’è un più ampio scontro generale di carattere geopolitico”.
Una domanda al segretario del PD: queste posizioni hanno diritto di cittadinanza nel campo dei Democratici e Progressisti? O sono considerate, pure loro, un regalo all’autocrate del Cremlino?
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