No, le cose non sono così semplici, lineari, come vorrebbe far credere Giorgia Meloni. Perché la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia si potrebbe anche togliere (se il marketing elettorale ne valuta i benefici) ma la memoria storica quella non, non la si può cancellare o riscrivere ad uso e consumo degli interessi elettorali del presente. La stampa di destra scrive che “Giorgia Meloni ribadisce con fierezza il suo supporto alla Nato. La leader di Fratelli d’Italia arrivando alla presentazione del Rapporto 2022 Iri Freedoms at risk: the challenge of the century organizzata da Fondazione Fare Futuro ha risposto così a chi gli chiedeva maggiori lumi sulla posizione del suo partito nel conflitto tra Russia e Ucraina: “Leggo sulla stampa di una presunta svolta atlantista di Giorgia Meloni. Vorrei ricordare che dal Msi a oggi la destra è sempre stata atlantista. FdI ha sempre avuto a cuore le alleanze ma anche la difesa interesse nazionale. Quando arriva un conflitto ti devi schierare ed è giusto che l’Italia sia compatta. Ma tutto ciò non va confuso con il fatto che FdI resta all’opposizione in modo netto e preciso”.
Un po’ di storia
Dall’archivio di Repubblica, dopo un’accurata ricerca, riportiamo alla luce un articolo illuminante di Giorgio Battistini. Il pezzo è pubblicato il 30 ottobre 1985, con il titolo “Tra nazionalismo e filoatlantismo scontro nel Msi di anime diverse”.
Scrive Battistini: “Il fantasma del “comandante” turba i sonni di Giorgio Almirante. Momento di scelte difficili, per i missini. La vicenda della Achille Lauro (il quale Lauro, in vita, trasmigrò sotto le insegne del Msi al momento dell’unificazione coi monarchici) ha imposto al partito più a destra dello schieramento politico italiano seri problemi di collocazione. Tra nazionalismo e atlantismo dove stare? Nel mezzo, come propone Almirante e la gran parte del Msi? O è meglio veleggiare al vento della riscoperta d’ un orgoglio patrio ferito, assecondando le frange più inquiete e rigorose dello schieramento giovanile che nel Msi, a differenza di altri partiti, sembra il più tenace custode dell’album dei ricordi?
E poi, dove sistemarsi esattamente tra la componente filoisraeliana (ma anche più atlantica) e quella filopalestinese e filoaraba (ma anche più dialogante con l’Est)? Una scelta difficile, tale da provocare, a conclusione del comitato centrale missino di tre giorni fa, le dimissioni del responsabile della sezione esteri e vicesegretario del partito Mirko Tremaglia. Motivo: l’approvazione d’ un documento troppo poco euroatlantico. Dimissioni non drammatiche tuttavia, che potranno essere già ricomposte nella prossima riunione dell’ufficio politico missino. Eppure, l’intera vicenda, il dibattito di due giorni del massimo organo elettivo del Msi, e il suo epilogo politicamente traumatico, hanno posto il partito della fiamma tricolore di fronte a un dilemma che ha tagliato a metà le sue due anime. Quella tradizionalmente atlantica (che si ritrova, oltreché in Tremaglia, in larga parte della nomenklatura missina, Almirante compreso), e quella in qualche modo storica, legata alle radici stesse del partito, al nazionalismo, alla amplificazione dei “valori italiani” e della dignità patriottica.
Nel saliscendi di eventi e di comportamenti che hanno caratterizzato la settimana di fuoco della Lauro, il Msi si è trovato spesso spiazzato, oscillante tra l’apprezzamento per un Craxi decisionista e tutore delle ragioni nazionali (salvo poi definire “strumentale” la sua posizione) e uno Spadolini custode a oltranza della fedeltà atlantica. Nazionalismo, occidentalismo: davvero due anime? Inizialmente contrario alla firma del trattato d’ Alleanza atlantica perchè poco rispettoso della sovranità italiana, il Msi giunse solo in un secondo tempo, con il sì voluto da De Marsanich, a sottoscrivere l’adesione italiana alla Nato e da allora l’estrema destra italiana si è sempre divisa tra orgoglio nazionale e fedele all’ America. Con la più recente aggiunta d’ una connotazione “euroatlantica”, simbolo, come osserva Tremaglia, dei due pilastri su cui deve fondarsi la collocazione internazionale dell’Italia. Lo schema ha sempre retto, senza traumi, appunto fino alla vicenda della nave rapita, quando la linea Almirante ha rischiato, proprio in occasione dell’ultimo comitato centrale, di uscire cambiata. C’era la posizione dei giovani (espressa da Gianfranco Fini, segretario del Fuan) che voleva “definire con chiarezza le nostre radici storiche, culturali, politiche”, per la “riscoperta di noi stessi, il fascino e l’attualità del nostro patrimonio, per l’affermazione dell’Italia, del proprio ruolo e identità, senza rinunciare alla memoria storia”. E’ la suggestione tricolore, il made in Italy in politica internazionale. Sintetizzato poi nel documento di Giuseppe Niccolai (un outsider, autorevolmente isolato ma molto spesso ascoltato) che se la prende con “la cupidigia di servilismo manifestata in questa circostanza dal cosiddetto partito americano” e rivendica “contro alcune manifestazioni di arroganza, la piena dignità della nostra presenza paritaria nell’Alleanza atlantica, come nazione indipendente a sovranità non limitata, libera quindi di scegliere quando usare la diplomazia, quando la forza, senza dover subire interferenze da parte di chi, a sua volta, in situazioni analoghe, non ha disdegnato la più umiliante soluzione delle trattative”. Il documento, approvato dal “parlamento” missino, condanna anche i “terroristi arabi che servono male la questione palestinese”.
L’avallo di questa linea vistosamente “nazionale” e sbilanciata in senso anti-americano (nella quale, per l’occasione, si ritrovano oltre i giovani del Fuan anche gli uomini di Rauti e Servello) è sembrata un po’ troppo a Mirko Tremaglia. Tra l’altro, qualcosa di contraddittorio ed eccessivo rispetto all’ ultimo congresso missino che sanciva l’ euroatlantismo. Da qui le dimissioni, per altro già in via di rientro (“Sì, è possibile anche che le ritiri” conferma l’interessato), anche perchè la sintesi proposta da Almirante (“Alleati sì, servi no”) ha gettato benzina sulla fiamma tricolore, elettrizzando gli animi. L’ orgoglio di partito si ritrova così a contestare a Craxi un reale spirito nazionalista, perchè, osserva Tremaglia, “dopo Abbas e dopo la letterina di Reagan tutto è poi andato a posto. Non è certo un campione un presidente che si comporta così. Noi diciamo che la posizione di Craxi è stata pretestuosa e strumentale. E lo dimostra il fatto che ora il Pci si ritrova vicino alla maggioranza. Un caso? Ogni volta che questo accade rispunta sempre il senso nazionale, come fu per la solidarietà nazionale, o per la maggioranza di unità nazionale”. Meglio Spadolini allora? Macchè. “Sono entrambi gravemente responsabili. Ma insomma nè lui, nè Craxi erano a Roma quando Abbas è stato fatto fuggire. E allora chi ha preso questa decisione? Il questore di Roma?”. Né con il Craxi “nazionalista” dunque, nè con lo Spadolini “americano”. Oppure un po’ con entrambi, ma quanto basta ad Almirante a confermare nella scelta euroatlantica lo stile nuovo del doppio petto tricolore”.
Fin qui Battistini.
Ma la ricerca di Globalist continua. In un’ampia intervista a Pierluigi Mele per Rainews, così Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano, nella parte dell’intervista che riguarda la nostra ricerca.
Diamo uno sguardo alla Destra missina. È un atlantismo “tattico”, in funzione anticomunista, oppure no? E oggi le destre che tipo di atlantismo esprimono? (domanda Mele).
Risponde il professor Formigoni: “Indubbiamente esiste anche qui una complessità. La tradizione neofascista ha al suo interno un filone “rivoluzionario” che ha sempre vagheggiato un’Europa antiamericana e spiritualista, sulla scia di Evola o di altri pensatori radicali. Dal canto suo, la linea ufficiale del Msi, non dal 1949 (il partito allora votò contro l’adesione al patto), ma dai primi anni Cinquanta in poi, vide prevalere un anticomunismo che chiedeva di difendere la collocazione atlantica dell’Italia. Ma le oscillazioni non mancarono, soprattutto in epoca almirantiana. O anche poi con l’evoluzione in Alleanza nazionale. Non a caso la destra italiana post-1994 – non solo quella esplicitamente post-fascista – ha avuto parecchi ondeggiamenti, anche in rapporto al tema dell’equilibrio tra Europa e Stati Uniti. Dall’enfasi pro-Bush del Berlusconi dei primi anni 2000, che contribuì a spaccare l’Europa, si arriva alle simpatie per Putin nella Lega salviniana. Ora anche Giorgia Meloni nel suo libro uscito l’anno scorso scriveva: “La Russia difende i valori europei e l’identità cristiana”. Per cui l’attuale riequilibrio sembra avere basi piuttosto fragili”.
Lettura per Giorgia
Di grande interesse è l’articolo a firma Aldo Di Lello sul Secolo d’Italia. Pubblicato il 5 aprile 2019, nei giorni in cui si celebrano i 70 anni della fondazione della Nato.
Il titolo: I 70 anni della Nato visti da destra: perché il Msi si oppose e poi cambiò idea. Un grande dibattito”
[…] In questi giorni si ricordano i 70 anni della Nato. Si tratta di 70 anni a luci e ombre e che, per la destra italiana, sono stati a lungo segnati da un appassionato dibattito. La necessità di fronteggiare il comunismo sovietico e le sue quinte colonne italiane portò il Msi, negli anni della guerra fredda, ad assumere sempre una chiara e coerente posizione atlantista. Questa posizione ha però sempre convissuto con un’altra anima, che poi era l’anima delle origini, tendenzialmente “terzaforzista” e ostile sia ad americanismo sia a occidentalismo.[…] Non fu comunque facile, per il Msi, accettare l’idea che bisognava stare dalla parte di americani e inglesi. Il dibattito si svolse soprattutto sulle riviste dell’epoca ed era animato da gente del calibro di Ezio Maria Gray, Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Ernesto Massi, Filippo Anfuso. oltre naturalmente ad Almirante. De Marzio e altri. Fu proprio Anfuso a trovare, come si suol dire, la “quadra” e a ricomporre la frattura in un memorabile intervento che tenne al congresso dell’Aquila, congresso che sancì la “svolta atlantica” nel 1952. «Fate sì -disse- che si chiuda al più presto questa stupida rissa in un partito che, per guardare al tipo di Europa che noi, i vinti, intendiamo contribuire a costruire, deve avere l’intelligenza politica di superare sia l’atlantismo quanto l’antiatlantismo. La nostra strada è l’Europa». E oggi, che non c’è più l’Urss e che la Russia non appare più ostile? Forse sarebbe il caso, a destra, di tornare alle origini e riprendere il dibattito dopo 70 anni, Naturalmente con la consapevolezza che l’Europa di Anfuso era cosa ben diversa dall’Europa di oggi, l’Europa di Juncker ed eurocrati vari”.
Tre anni dopo, la Russia appare ostile. Ma la diffidenza a destra verso l’Europa degli “eurocrati vari” non è venuta meno.
Quanto alla leader di Fli, che oggi sbandiera un filoatlantismo a 360 gradi, vale quanto ricordato in una intervista concessa a chi scrive da Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York: “. E’ vero che Giorgia Meloni da quando ha fatto il suo discorso alla Convention repubblicana e poi ha preso posizione contro Putin, ha chiaramente posizionato se stessa dalla parte occidentale – annota Urbinati – Però io mantengo un certo scetticismo. Perché il suo rapporto con l’America è un rapporto con una parte, cioè Trump, il trumpismo e i repubblicani, che sono davvero tutto fuorché esempi di liberaldemocrazia. Quanto poi al fronte-Putin, anche qui sono dubbiosa. Perché è vero che lei ha criticato l’invasione dell’Ucraina. Ma è altrettanto vero che in varie occasioni ha espresso il suo favorevole giudizio (anche per criticare la sinistra, assumendola sempre e solo come “comunista ”) su “meglio Putin che l’Unione Sovietica”. Putin rappresenta per lei una evoluzione del precedente regime, nonostante questo non sia né più liberale di prima né più democratico, mentre certamente è capitalista a differenza di quello precedente. La sua posizione, similmente a quella dei repubblicani americani, è una posizione molto “strabica” rispetto ai valori democratici e liberali. Mentre è molto chiara sui principi socio-economici, che sono quelli dl capitalismo e del libero mercato. Se ci accontentiamo della “libertà” economica, lei c’è dentro, indubbiamente. Ma sulla libertà civile e politica, è molto manchevole. Fratelli d’Italia sono un partito immerso nella tradizione reazionaria”.
Così è. E non è un caso che a sperticarsi di elogi per la leader di FlI e per la vecchia-nuova destra italiana è stato il guru del pensiero reazionario trumpista, Steve Bannon. E non è un caso che uno degli sponsor europei di Meloni sia l’autocrate magiaro Viktor Orban. D’altro canto, la Nato che tanto piaceva al Msi era quella dei colonelli greci e dei loro omologhi turchi. Come faceva lo slogan gridato negli anni di piombo dalla destra neofascista, Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Msi) e Fuan (Il Fronte universitario della fiamma tricolore) compresi: “Ankara, Atene, adesso Roma viene…”. E questo passato infiamma ancora una parte dell’elettorato di FlI. E a quello, fiamma o non fiamma, Giorgia Meloni non vuole rinunciare.
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