Migranti, la partita si gioca a destra. Con il centrosinistra spettatore
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Migranti, la partita si gioca a destra. Con il centrosinistra spettatore

Sui migranti è derby Meloni-Salvini. Una gara a chi la spara più grossa. Con il centrosinistra che fa da spettatore. 

Migranti, la partita si gioca a destra. Con il centrosinistra spettatore
Matteo Salvini e Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Agosto 2022 - 18.33


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Sui migranti è derby Meloni-Salvini. Una gara a chi la spara più grossa. Con il centrosinistra che fa da spettatore. 

“Quello che si dice sul blocco navale come atto di guerra è una fake news”. Così la leader di Fratelli d’Italia, parlando del tema dell’immigrazione. “Io penso – ha aggiunto – che la cosa più seria che si possa fare è una missione europea per bloccare le partenze, in collaborazione con le autorità libiche. L’Europa, per esempio, ha trattato con la Turchia sulla rotta dei migranti che arrivavano da Est per fermarla. E non si è capito perché l’Italia sia stata abbandonata sulla rotta Mediterranea”.

Ribatte Salvini: “La Sicilia non merita di finire sui giornali come un campo profughi. Noi dobbiamo tornare a difendere i confini e bloccare il traffico di esseri umani. Non serve inventare niente: primo Cdm, a costo zero, si reintroducono i due decreti sicurezza che hanno perfettamente funzionato. Li hanno smontati ed è tornato il caos”. 

“Modello Minniti”. 

Carlo Nordio, ex magistrato candidato con Fratelli d’Italia parla a La Corsa al voto, il talk show di La7, del blocco navale anti-sbarchi che Giorgia Meloni propone come soluzione all’emergenza immigrazione. Nordio spiega che schierare navi militari è una soluzione impraticabile, ma aggiunge anche che il blocco a cui si riferisce la leader di Fratelli d’Italia è un altro: un accordo con i Paesi rivieraschi in modo da bloccare gli arrivi.

 E Nordio a sorpresa, ma nemmeno tanto, afferma: “Va detto che questo tipo di accordo venne fatto bene dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti. In politica bisogna guardare ai risultati e non certo all’etica. A volte si possono fare degli accordi occulti, ma bisogna sempre guardare il bene della collettività”.

Capite i guasti prodotti da un ministro Pd che coniò l’affermazione, rilanciata in pompa magna da una stampa mainstream, per cui “sicurezza è parola di sinistra”. E su questa pensata costruì la guerra contro le Ong salvavite nel Mediterraneo, aprendo la strada al suo successore al Viminale, Matteo Salvini. 

Il blocco navale “è difficilmente realizzabile, non credo che lo sia neanche dal punto di vista giuridico”. Così Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, ospite di Controcorrente estate su Rete 4, spiegando che sulla questione immigrazione “noi andiamo al di là della soluzione di polizia, ma andiamo alla radice del problema: Forza Italia propone di intervenire là dove partono gi immigrati, quindi con un’azione forte in Africa per favorire la crescita del continente africano. Serve un vero piano Marshall europeo, pensiamo almeno a un centinaio di miliardi da investire in quel continente per farlo crescere, ridurre le tensioni, impedire che venga colonizzato dalla Cina e impedire flussi migratori senza freni. E poi bisogna fare accordi con i Paesi del Nord dell’Africa”.

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Alla faccia della compattezza del centrodestra.

Una lettera da incorniciare

A scriverla è Angelo Farina, 28 anni. Lui parla con cognizione di causa, visto che ha lavorato nell’hotspot di Lampedusa durante la crisi di luglio, quando c’erano più di 2000 migranti e 310 posti letto. Destinatari della lettera aperta è il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari.

“Egregio giornale, egregio direttore,

è straniante per noi medici ascoltare il frastuono del dibattito elettorale. I motti e gli slogan tirano in causa ormai da dieci anni Lampedusa e flussi migratori che, non per attiguità geografica ma per una precisa scelta politica, si concentrano a imbuto sull’isola. Noi che all’hotspot di Lampedusa ci lavoriamo non possiamo stare zitti di fronte a chi parla senza conoscere la realtà. Non possiamo stare zitti né vogliamo gridare, come gli altri, nel frastuono. Per questo abbiamo scelto la formula della lettera aperta. Nel nostro conoscere la realtà? effettiva delle cose ci chiediamo come sia possibile che chi quella realtà non la conosce possa professarsi indignato o ergersi a risolutore. Conosciamo e abbiamo sentito più volte la frase “le migrazioni sono un tema complesso”. Lontani dal pensare che la complessità non possa essere affrontata in politica, crediamo che al delinearsi di un secondo fine, l’elemento campagna elettorale, il frastuono debba essere chiamato per quello che è: mera strumentalizzazione.

Se si vuole affrontare il tema con serietà non si può che partire dai dati. Dati pubblici, disponibili sul sito del Ministero dell’Interno. A fronte degli ingressi negli ultimi tre anni, di cui il Ministero comunica il dato riferito a tutte le coste italiane ma una stima ci dice che circa il 40 per cento avviene sull’isola di Lampedusa, abbiamo avuto 15.000 ingressi nel 2020 su 35.000 totali, 30.000 su 67.000 nel 2021. Ad ora, a Lampedusa, sono 22.000 su 49.000 gli sbarchi del 2022. In Italia siamo 59 milioni, una media di 7.000 a comune. Ciò significa che ogni sindaco avrebbe da “sostenere l’impatto” di 2 persone, 4 totali, nel 2020, meno di 4 persone su 7 totali nel 2021 e ad ora 3 persone su 6 nel 2022. Si dovrebbe parlare di questi numeri, di questi dati, prima di affrontare ogni discorso elettorale sul tema immigrazione. Sono numeri ridicoli che rendono ridicola la rappresentazione di “invasione” e “difesa dei confini”.  A questi numeri, dati inconfutabili, va aggiunto che queste sei persone sono diseredati di ogni sorta, privati quasi sempre dei propri diritti basilari, praticamente sempre di quello alla salute: uno è un minore non accompagnato, uno viene dal Bangladesh e ti sorride anche se lo insulti, una è una donna, e in percentuale sorprendentemente alta questa donna è anche incinta. Gli altri tre sono i nostri nonni che partivano per le Americhe, hanno le stesse speranze, gli stessi occhi.

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In molti chiedono come funziona il sistema d’accoglienza all’arrivo di uno sbarco. Innanzitutto, lo possono confermare tutti i turisti che affollano l’isola d’estate, a Lampedusa non vedrete un solo migrante. Tutte le persone arrivate vengono convogliate verso l’hotspot. Nell’hotspot il processo è: tampone covid, fotosegnalamento e pre-identificazione. Questo processo, consolidato dal lavoro di Digos e Squadra Mobile, è collaudato e vanifica la frase ricorrente: “sono tutti deliquenti”. Chi ha precedenti penali, non solo sul territorio italiano, c’è infatti una rete internazionale ben collaudata, riceve un blocco e non entra in Italia.

Nell’hotspot il lavoro di noi medici è focalizzato sulla prima assistenza sanitaria. Internamente si è stabilito che la vera priorità è lo screening. Nei pochi giorni di permanenza ciò che è più utile è far partire un processo diagnostico e terapeutico che deve continuare in Italia per garantire a tutti il pieno diritto alla salute. Dal punto di vista medico le patologie ricorrenti in hotspot sono malformazioni, esiti di traumi, infezioni dermatologiche: frequente è la scabbia, ancora di più le infezioni batteriche della cute. Sono rari i casi di infezioni sistemiche. Da novembre non ho visto pazienti ammalati di tifo né di malaria. Di tubercolosi attiva si registrano 1-2 casi al mese.

Succede ogni anno, d’estate, che il sistema vada al collasso. Sottolineo che è il sistema hotspot a collassare, non Lampedusa, che continua a nutrirsi insaziabilmente del suo turismo senza che nulla succeda al di fuori dei cancelli dell’hotspot. Al loro interno, ad inizio luglio, c’erano stipate 2.100 persone con soli 310 posti letto, servizi igienici scarsi numericamente e condizioni sanitarie inenarrabili. Per noi medici ha significato 14 ore di assistenza continua al giorno senza pause, neanche il tempo di bere un bicchier d’acqua. L’ex sindaco dell’isola Giusy Nicolini si è occupata di denunciare pubblicamente il grave disservizio. Noi medici ci siamo sentiti impotenti nella gestione di questi numeri. Abbiamo riferito alle istituzioni che nelle condizioni di sovraffollamento dell’hotspot non vengono garantiti il diritto alla salute, diritto fondante della costituzione del Who e l’articolo 32 della nostra Costituzione. Per noi, senza troppi giri di parole, il responsabile di queste violazioni è lo Stato Italiano stesso. La vicenda di inizio luglio è stata (e continua a essere, ogni estate) insopportabile per le persone tenute stipate come sardine in un centro di presunta accoglienza e quindi per tutti noi italiani che crediamo in uno Stato giusto ed equo. Il problema strutturale è nell’approccio emergenziale rivolto a qualcosa che viene considerata minaccia. Il modello non ha la stessa priorità di noi medici, ovvero quella di identificare le vulnerabilità e costruire un percorso che aiuti le persone. Ad ora, per lo Stato Italiano, gli sbarchi vengono considerati qualcosa da nascondere sotto un tappeto, o in uno sgabuzzino buio.

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In questa lettera non parlerò di Hassan che dalla Siria cercava di raggiungere sua figlia pasticciera in Olanda, né di suo nipote con la laurea magistrale in scienze farmaceutiche piegata in quattro nel marsupio. Non parlerò di Abdi che a 21 anni scappa dalla Somalia e vuole fare il mediatore perché parla bene inglese, né di Merhawi che era calciatore in prima serie in Eritrea e si è fatto tre anni al buio in Libia. Non parlerò nemmeno di Hala che a dieci anni traduceva il nostro inglese ai genitori palestinesi, né di Iscraf che con un lavoro in Tunisia ha fatto il viaggio con il fratello minore e miope per scortarlo in Italia. Non è all’empatia ma al buonsenso che faccio appello.

Fare appello a questi numeri senza dare un volto, a questi temi senza una storia, recarsi in gita a Lampedusa, tutto questo ha un solo esito: episodi di odio e violenza. Le migrazioni sono un tema complesso, sì, sono un tema politico da affrontare nel corso delle legislature e a livello transnazionale. Di sicuro non sono un trend da tirare fuori in campagna elettorale”. 

Questa è la lettera aperta di un giovane che ha praticato la solidarietà. In difesa dei più indifesi. Un consiglio ai leader del centrosinistra: quando si discuterà in un dibattito televisivo di migranti, invasione, blocchi navali, sicurezza e legalità, mandate Angelo a ribattere ai Salvini e alle Meloni, ne trarreste solo che vantaggi.

E se Angelo Farina non è troppo noto, allora Globalist vi consiglia un’altra persona che sa di cosa parla e che con i migranti ha a che fare quotidianamente: padre Camillo Ripamonti, combattivo presidente del Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati. 

“Chi descrive migranti disperati che attraversano il Mediterraneo in cerca di democrazia, pace, libertà come nemici minacciosi da cui difenderci con blocchi e respingimenti, dimostra di non sapere cosa siano democrazia, pace, libertà”. E’ un tweet del Centro Astalli. Un tweet. Una lettera. Che valgono più di mille dichiarazioni balbettanti dei politici del centrosinistra. 

Su migranti e rifugiati si deve essere partigiani. E per esserlo è d’obbligo rompere con la politica sciagurata dell’esternalizzazione delle frontiere. Significa non rifinanziare la Guardia costiera libica perché faccia il lavoro sporco – i respingimenti – a posto nostro. Vuol dire implementare i corridoi umanitari legali. E non contrapporre sicurezza e inclusione ma, al contrario, affermare con nettezza che le due cose marciano assieme, invece di rincorrere la destra sul suo terreno, quello che assolutizza la sicurezza e cancella l’inclusione. Ma è chiedere troppo a chi, pure se non lo dice apertamente, è ancora convinto della bontà del “metodo Minniti”. 

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