La campagna elettorale e l'immane strage di migranti sulla rotta libanese: non pervenuta
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La campagna elettorale e l'immane strage di migranti sulla rotta libanese: non pervenuta

Leggete con attenzione il comunicato stampa firmato dalle più importanti Agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di rifugiati e migranti. E’ un j’accuse possente contro chi può agire e non lo fa. 

La campagna elettorale e l'immane strage di migranti sulla rotta libanese: non pervenuta
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Settembre 2022 - 12.40


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Sono annegati nel disinteresse generale. L’ennesima “tragedia del mare”, come è stata definita dalla stampa mainstream. No, non è stata l’ennesima tragedia. E’ stato l’ennesimo crimine contro l’umanità consumatosi in quello che è diventato il Mare della morte: il Mediterraneo

L’accusa Onu

Leggete con attenzione il comunicato stampa firmato dalle più importanti Agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di rifugiati e migranti. E’ un j’accuse possente contro chi può agire e non lo fa. 

“Il naufragio avvenuto giovedì 22 settembre al largo delle coste siriane è semplicemente tragico. L’imbarcazione era partita martedì verso l’Europa dal porto di Miniyeh, vicino a Tripoli, in Libano, con a bordo tra i 120 e i 170 migranti e rifugiati, per lo più siriani, libanesi e palestinesi. Tra i passeggeri c’erano donne, bambini, uomini e anziani. Le operazioni di ricerca e salvataggio finora hanno confermato che almeno 70 persone sono morte. I loro corpi sono stati trovati in acque siriane. Secondo le prime notizie, 20 persone sono state trasferite all’ospedale della città di Tartous, alcune in gravi condizioni. In Libano, le tre agenzie delle Nazioni Unite stanno approfondendo con le autorità competenti e offriranno sostegno alle famiglie in lutto. L’Unhcrin Siria sta anche fornendo un sostegno materiale ai sopravvissuti a Tartous.

“Questa è l’ennesima straziante tragedia e porgiamo le nostre più sentite condoglianze a tutte le persone colpite”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Chiediamo la piena solidarietà della comunità internazionale per contribuire a migliorare le condizioni delle persone costrette a fuggire e delle comunità ospitanti in Medio Oriente, in particolare nei Paesi vicini alla Siria. Troppe persone sono spinte sull’orlo del baratro”. “Le persone in cerca di sicurezza non dovrebbero essere costrette a intraprendere viaggi migratori così pericolosi e spesso mortali”, ha dichiarato AntónioVitorino, Direttore generale dell’Oim. “Dobbiamo lavorare insieme per aumentare i canali sicuri e legali per la migrazione regolare, per contribuire a ridurre le perdite di vite umane e proteggere le persone vulnerabili in movimento”.

“È una tragedia. Nessuno sale su queste barche della morte con leggerezza. Le persone prendono queste decisioni pericolose, rischiando la vita in cerca di dignità. Dobbiamo fare di più per offrire un futuro migliore e affrontare il senso di disperazione in Libano e in tutta la regione, anche tra i rifugiati palestinesi”, ha dichiarato il Commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini. In risposta all’aumento delle partenze via mare dalla regione negli ultimi mesi, l’Oim, l’Unhcr e l’Unrwa invitano gli Stati costieri ad aumentare gli sforzi per costruire la loro capacità di ricerca e salvataggio e a lavorare per garantire la prevedibilità nell’identificazione di luoghi di sbarco sicuri.

Tuttavia, è ancora più importante che si agisca per affrontare le cause alla radice di questi spostamenti e che la comunità internazionale, in linea con il principio della condivisione delle responsabilità, rafforzi l’accesso a canali alternativi più sicuri per evitare che le persone debbano ricorrere a viaggi pericolosi. Un maggiore sostegno umanitario e allo sviluppo deve inoltre essere fornito alle persone costrette a fuggire e alle comunità ospitanti in tutta la regione, per contribuire ad arginare le loro sofferenze e a migliorare le loro condizioni e opportunità di vita. In caso contrario, rifugiati, richiedenti asilo, migranti e sfollati interni continueranno a intraprendere viaggi pericolosi in cerca di sicurezza, protezione e una vita migliore”.

Così il comunicato congiunto.

Cronaca di una strage annunciata

Scrive Francesca Mannocchi su La Stampa:Il naufragio di martedì è il tentativo di fuga che causato il maggior numero di vittime dal 2019 in Libano, anno delle proteste di piazza, della crisi economico finanziaria che ha fatto precipitare l’80 per cento della popolazione del paese – circa tre milioni di persone – al di sotto della soglia di povertà. Nel marzo 2020, il Libano è stato inadempiente per la prima volta per aver rimborsato il proprio debito, che ha poi raggiunto i 90 miliardi di dollari, ovvero il 170% del prodotto interno lordo.

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A seguito della crisi il numero di persone che hanno lasciato o tentato di lasciare il Libano via mare è quasi raddoppiato nel 2021 rispetto al 2020, ed è aumentato di nuovo di oltre il 70% nel 2022 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Con una differenza: se prima a partire dalle coste di Tripoli erano solo rifugiati siriani e palestinesi (due milioni in totale in un paese di sei milioni di persone), negli ultimi tre anni la disperazione crescente ha portato sempre più libanesi a pagare trafficanti per salire a bordo di barche sovraffollate dirette in Europa.

L’assalto alle banche

È notizia di ieri che le banche libanesi rimarranno chiuse «a tempo indeterminato». Troppo bassa la sicurezza garantita dalle autorità, recita il comunicato dell’associazione bancaria nazionale. La decisione arriva dopo mesi di proteste e dopo le ultime due settimane di assalti armati da parte di comuni cittadini che chiedevano indietro parte dei risparmi svaniti negli ultimi anni.

Il primo caso di attacco a una filiale bancaria era stato segnalato a gennaio. Un uomo aveva forzato l’entrata tenendo in ostaggio qualche decina di persone dopo che gli era stato comunicato che non avrebbe più potuto ritirare il suo denaro in valuta estera ma sono in lire libanesi, che ormai da tempo sono poco più che carta straccia. Dopo ore di trattative ha ottenuto un po’ dei sui risparmi e si è arresto.

Un mese fa, ad agosto, un uomo armato ha di nuovo tenuto in ostaggio dipendenti e correntisti in una banca del centro di Beirut. Aveva chiesto i suoi risparmi per pagare le cure private del padre malato di cancro, ma i soldi non c’erano più, il loro valore svanito per effetto della crisi.

La settimana scorsa un uomo ha di nuovo fatto irruzione in una filiale di BankMed nella città di montagna di Aley e nello stesso giorno una donna, Sali Hafiz, è entrata nella sede di Blom Bank a Beirut con una pistola giocattolo. Anche lei aveva bisogno di soldi per pagare le cure di sua sorella malata di cancro. Anche lei non ha ricevuto niente. Ha versato la benzina che aveva con sé sul pavimento minacciando di dare fuoco alla banca se non avesse avuto i suoi soldi.

È uscita da lì con la sua pistola giocattolo, 13 mila dollari, mentre la folla, all’esterno, la acclamava e applaudiva.

Il giorno dopo, sulla scia del gesto di Sali Hafiz, altre cinque banche sono state assaltate: un negoziante padre di sette figli e disoccupato da mesi ha chiesto i suoi soldi armato con un fucile da caccia, a Sud della città, un altro lavoratore ormai alla fame ha assaltato una filiale della Banque Libano-Française e dopo aver ottenuto 20 mila dollari si è arreso.

A sostegno dei due, come nel caso di Sami Hafiz, si è creato un movimento spontaneo, i Depositors’ Outcry che hanno annunciato giovedì che è solo l’inizio della «battaglia per liberare i nostri risparmi rubati da decenni di corruzione».

È in un clima come questo, in un paese in cui i cittadini ridotti alla fame, diventano rapinatori per ottenere i propri soldi e ottengono indietro qualche spiccio e il consenso popolare, che sta montando, sempre più massiccia la guerra tra poveri. Quando manca il lavoro e i soldi, quando manca da mangiare, a farne le spese sono, sempre, i più vulnerabili tra i vulnerabili.

Le Nazioni Unite da mesi lanciano allarmi sui casi di discriminazione e violenza contro rifugiati siriani in Libano. «Abbiamo assistito a tensioni tra libanesi e siriani nelle panetterie di tutto il paese», aveva detto a giugno Paula Barrachina, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «In alcuni casi anche sparando e usando bastoni contro i rifugiati».

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In alcune aree del Libano il governo ha imposto il coprifuoco per i rifugiati e chiesto ai panifici di dare la priorità ai cittadini libanesi, in un video condiviso sui social media, un gruppo di uomini nel quartiere di Bourj Hammoud, a Beirut, ha picchiato un adolescente siriano con dei bastoni e gli ha preso a calci in faccia vicino a una panetteria. Prima i libanesi accusavano i siriani di abusare delle già fatiscenti infrastrutture del paese e rubare loro il lavoro. Oggi, effetto della crisi finanziaria e della guerra ucraina, li accusano di rubare loro il pane, e non li vogliono più.

I funzionari libanesi stanno sempre più favorendo il rimpatrio forzato dei rifugiati nelle aree della Siria che ritengono essere ormai al sicuro e sta coordinando con il governo siriano a Damasco su un piano che potrebbe vedere fino a 15 mila rifugiati rimandati nel Paese ogni mese. È anche per questo – rimarca ancora Mannocchi – che più di un milione di rifugiati siriani che risiede in Libano da dieci anni vede nella fuga dal paese, a ogni costo, l’unica possibilità di salvarsi”.

La rotta libanese

Ne scrive Mauro Indelicato, che di migrazioni e geopolitica è esperto. “Da un Libano sempre più in crisi si scappa. Stanno fuggendo intere famiglie e singoli soggetti. Non sempre e non solo libanesi. Il Paese dei cedri da anni accoglie affollati campi profughi con al loro interno palestinesi e siriani. Sono tutti coinvolti dalla crisi finanziaria, economica, sociale che da almeno tre anni affligge la nazione e che sta riducendo a uno stato di povertà almeno i due terzi delle famiglie.

Nel dicembre scorso il centro di ricerca Information International, basato a Beirut, ha stimato che negli ultimi due anni sono partite almeno 200mila persone da tutto il Libano.  Dalla capitale fino alla Bekka, passando per il sud del Paese, si raggiungono le coste di Tripoli, la città settentrionale omonima della capitale libica, e da lì si parte verso l’Europa. Fino a oggi Cipro era la meta più ricercata. Il perché è presto detto: la vicinanza geografica tra l’isola e le coste libanesi ha sempre permesso traversate più veloci rispetto ad altre tratte. Ma ora la situazione sta cambiando.

Media di Beirut, in particolare, hanno dato ampio risalto ad alcune testimonianze di profughi libanesi che volevano raggiungere l’Italia. E, sempre tra i media locali, sarebbero sempre di più le persone desiderose di allungare la navigazione e provare a sbarcare lungo le coste italiane.

I testimoni sentiti dai media libanesi hanno parlato di imbarcazioni dirette verso l’Italia, fatte però poi girare verso la Grecia “dalla guardia costiera europea”. Probabilmente il riferimento è a qualche 

nave dell’agenzia Frontexd operativa tra il Mediterraneo centrale equello orientale. Possibile che i militari abbiano intimato ai migranti di proseguire il viaggio verso l’Italia, invitandoli a cambiare rotta.

Possibile anche ipotizzare che i barconi siano stati dirottati verso la Grecia per via dei rapporti molto stretti tra le autorità elleniche e quelle cipriote. I migranti quindi potrebbero essere indirizzato verso l’isola, il cui governo, proprio per l’importante afflusso di libanesi negli ultimi anni, ha stretto accordi con Beirut per rimpatri più celeri…”.

Così Indelicato.

L’appello di Save the Children, la denuncia dell’Unicef

Quasi un quarto della popolazione libanese e la metà dei rifugiati siriani in Libano sta affrontando carenze alimentari. A denunciarlo è Save the Children che invita il governo “a sostenere economicamente i più colpiti”. “La quantità di cibo in tavola per i bambini in Libano – si legge in un comunicato della organizzazione umanitaria – si riduce di giorno in giorno, poiché i prezzi del pane salgono di un altro 11% a causa dell’aggravarsi della crisi. Una razione di pane per un mese fa arretrare le famiglie di quasi la metà del salario minimo mensile. Un sacchetto di focaccia costa 5.000 sterline libanesi nei supermercati, oltre il triplo rispetto all’anno scorso, un effetto a catena dell’impennata dei prezzi del carburante e del collasso dell’economia”. Secondo Save the Children “le famiglie più povere del Libano hanno probabilmente bisogno di almeno due sacchi di pane al giorno a causa dell’impossibilità di permettersi cibi nutrienti come riso, lenticchie e uova.

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Ciò significa che il costo mensile del consumo di pane (circa 300.000 sterline) è circa il 44% del salario minimo mensile, che è di 675.000 sterline”. “Nessuna famiglia può vivere senza pane in Libano – dichiara Jennifer Moorehead, direttrice di Save the Children in Libano -. Se il pane diventerà fuori portata – cosa che in alcuni casi sta già accadendo – non c’è un piano B oltre alla fame. I bambini ci dicono che stanno andando a letto affamati e i genitori riferiscono di dover saltare completamente i pasti. Migliaia di famiglie al momento fanno affidamento su pasti a base di pane e ora sentono che questo verrà loro portato via. La situazione dei bambini, soprattutto i più piccoli, è sempre più disperata”. “Il Libano è in caduta libera e i bambini sono i primi a sentirne l’impatto. Esortiamo il governo libanese a fornire sostegno in denaro alle famiglie più povere dei gruppi economici più colpiti, per aiutarle almeno a garantire i bisogni minimi e impedire che la crisi si trasformi in una catastrofe umanitaria per i bambini libanesi”, conclude Moorehead.

“A meno che non venga intrapresa un’azione urgente, più di quattro milioni di persone in tutto il Libano – soprattutto bambini e famiglie vulnerabili – affrontano la prospettiva di una carenza critica di acqua o di essere completamente tagliati fuori dalla fornitura di acqua sicura nei prossimi giorni”, le fa eco, sempre ad agosto,   direttore generale dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, Henrietta Fore.
L’Unicef, ricorda il direttore generale, “ha avvertito che più del 71% della popolazione del Libano potrebbe rimanere senza acqua quest’estate. Da allora, questa situazione pericolosa è continuata, con servizi essenziali come l’acqua e i servizi igienici, le reti elettriche e l’assistenza sanitaria sotto enorme tensione.

Strutture vitali come gli ospedali e i centri sanitari non hanno avuto accesso all’acqua sicura a causa della mancanza di elettricità, mettendo a rischio delle vite”. Fore chiarisce: “Se quattro milioni di persone sono costrette a ricorrere a fonti d’acqua non sicure e costose, la salute pubblica e l’igiene saranno compromesse e il Libano potrebbe vedere un aumento delle malattie legate all’acqua”. L’Unicef chiede “l’urgente ripristino della rete elettrica – l’unica soluzione per mantenere in funzione i servizi idrici”. “I bisogni sono enormi e l’urgente formazione di un nuovo governo con chiari impegni di riforma, è fondamentale per affrontare la crisi attuale attraverso un’azione determinata e sistematica per proteggere la vita dei bambini e garantire l’accesso all’acqua e a tutti i servizi di base”, concludeFore.

Questo è il Libano da cui quei disperati annegati stavano scappando, trovando la morte in mare, in una delle tante stragi di innocenti che la comunità internazionale continua colpevolmente a ignorare.

La postilla finale riguarda la mefitica campagna elettorale conclusasi ieri. Di migranti si è parlato in termini di blocchi navali, respingimenti, esternalizzazione delle frontiere. Ieri tutti i leader in campo hanno tenuto i comizi finali. Della strage di migranti nemmeno una parola. Né una lacrima, foss’anche di coccodrillo.

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