A Predappio ieri la Meloni ha vinto con il 36,6% quasi doppiando il Pd, fermo al 21. Tra un mese, il 28 ottobre, centenario della marcia su Roma e anniversario, non casuale, della liberazione di Predappio, mi sa che se ne vedranno delle belle. Mi torna in mente com’è cominciata la storia delle adunate in camicia nera per quelle ricorrenze. Ne scrissi una decina di anni fa nel libro “Gli intrighi di una Repubblica” (Pendragon). Il riassunto è questo. Vado a memoria.
Dopo che era finito a testa in giù a Piazzale Loreto, il cadavere di Mussolini venne nascosto nei sotterranei di un convento, se ricordo bene dalle parti di Pavia, proprio perché il luogo della sepoltura non diventasse meta del pellegrinaggio dei nostalgici del Fascio. Una volta alcuni camerati scovarono il posto, organizzarono un blitz, ma erano maldestri, fecero cadere la bara che si aprì e la salma perse una mano e qualche altro pezzo, loro scapparono, il Duce tornò negli scantinati.
Anni dopo diventò presidente del Consiglio Adone Zoli, democristiano di Predappio, amico della famiglia Mussolini e in particolare di Donna Rachele, che abitava ancora a Predappio. Siamo negli anni Cinquanta. Rachele un giorno va da Zoli e gli dice: “Adone, cosa ne facciamo di Benito? Possiamo mica lasciarlo dove l’hanno nascosto. Bisognerà poi che lo riportiamo a casa”. Zoli si fece intenerire, sondò cautamente i suoi colleghi di governo e capi partito, capì che non si opponevano e si poteva fare. Ma prima di avviare l’operazione aveva bisogno del via libera dei comunisti, che allora vincevano sempre a Predappio ed esprimevano il sindaco. Era l’ultimo ostacolo. Andò dal sindaco, Proli mi pare si chiamasse, e gli riferì della richiesta di Donna Rachele, dei benestare governativi e politici nazionali. Poi gli chiese: “Cosa ne pensi?”. Il sindaco si impettì e gli rispose più o meno così: “A noi Mussolini non ci ha fatto paura da vivo, figurati se ce ne fa da morto”.
Così il Duce tornò a casa, nella cripta di famiglia. Appena si seppe cominciò la processione dei reduci. Nel giro di poco tempo cominciarono ad arrivare migliaia di persone, aprirono negozi con i cimeli del Fascio, si cominciarono a organizzare le adunate: per l’anniversario della nascita (29 luglio), della morte (28 aprile), della marcia su Roma (28 ottobre). Trecentomila visitatori l’anno. Camicie nere e saluti romani. Il business del Duce che finisce per condizionare tutta la vita della città.
Tra l’altro, per incasinare ancor meglio le cose, l’anniversario della marcia su Roma coincide con quello della liberazione della città, che fu ritardata appositamente di qualche giorno da Alleati e Resistenza proprio per dargli un valore simbolico. E anche il giorno della morte e della Liberazione dell’Italia si sfiorano. Così il 25 aprile e il 28 ottobre è spesso capitato che ci fossero cortei contrapposti, alta tensione, incidenti. Così in questo Paese che ha cancellato la memoria e non ha mai fatto i conti con il Fascismo, il rischio è che ora di quel passato tornino a rivivere con maggior trasporto i peggiori riti e fanatismi, con il vestito della festa.