Parafrasando Seneca, la sinistra ha smesso di perdere perché ha perso
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Parafrasando Seneca, la sinistra ha smesso di perdere perché ha perso

La sconfitta è anche la naturale conseguenza di una concezione miope e settaria da parte di tutti gli attori del centro sinistra, più attenta ai conti della propria bottega che al bene del Paese

Parafrasando Seneca, la sinistra ha smesso di perdere perché ha perso
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Antonio Rinaldis Modifica articolo

29 Settembre 2022 - 22.09


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Buongiorno Lucilio, dunque moriamo. Così iniziava Seneca le lettere che scriveva al suo discepolo lontano, e quando saremo morti, avremo finito di morire, concludeva. Anche noi oggi potremmo esordire dicendo, finalmente si è palesata la sconfitta elettorale, in tutta la sua ampiezza, e quindi abbiamo smesso di perdere. Perché come il morire è connaturato al vivere, così la sconfitta del centro sinistra alle ultime elezioni politiche sembrava annunciata, inevitabile.  

Qualcuno potrebbe obiettare che quest’articolo avrebbe dovuto essere scritto prima del venticinque settembre, quindi prima del risultato che si è concretizzato al termine delle elezioni. Era infatti evidente a tutti che le elezioni della paura le avrebbe vinte la destra, e l’unica incertezza riguardava le dimensioni che avrebbe avuto la sconfitta del centro sinistra. Perché di una sconfitta ampiamente annunciata si trattava e solo la propaganda elettorale del Partito Democratico poteva nascondere l’evidenza: si stava combattendo una battaglia politica con le armi spuntate e si stava costruendo una ingloriosa debacle. 

Questa storia però va raccontata dall’inizio. 

L’attuale legge elettorale, denominata Rosatellum, dal nome del relatore, il senatore Ettore Rosato,  è entrata ufficialmente in vigore il 6 novembre 2017 ed era stata approvata con i voti del Pd, di Forza Italia e della Lega Nord, insieme ad altre formazioni minori. Sappiamo tutti che la legge prevedeva un sistema elettorale misto, dove il 37% dei seggi della Camera e del Senato sono assegnati con un sistema maggioritario, il 61% con il sistema proporzionale e il restante 2% è destinato agli italiani residenti all’estero. Lo spirito della legge era quello di favorire la formazione di coalizioni, che nei collegi uninominali avrebbero assicurato notevoli chance di successo. 

In data 19 ottobre 2020 è stato ridotto il numero dei parlamentari, a cui avrebbe dovuto seguire anche una nuova legge elettorale, che in realtà non è mai stata presentata, per cui le ultime elezioni si sono svolte con il vecchio sistema, anche se i collegi sono stati ridefiniti e il numero dei parlamentari sensibilmente ridotto. 

Ora, ed è questa la prima incongruenza, il vero assurdo logico risiede nel fatto che il Rosatellun era stato votato dal Pd con l’intento di arginare i successi dei 5 stelle, per costringerli a coalizzarsi, ma dopo la crisi del governo Draghi, Letta ha dichiarato che non c’erano margini per un’alleanza con il Movimento ed ha deciso di mandare in frantumi l’ipotesi del campo largo, che aveva lui per primo avanzato, in coerenza con la legge elettorale. Con quella scelta scellerata, che si sommava all’altrettanto decisione insensata di Conte di togliere la fiducia a Draghi, è iniziata la vittoria della destra, che a quel punto si è trovata di fronte a una partita senza avversari, i leader dei tre principali partiti hanno compreso perfettamente quale fosse la strategia vincente, nel giro di qualche breve incontro si sono spartiti collegi ed hanno ipotecato la vittoria, mentre Conte e Letta si rimproveravano le reciproche infedeltà. 

Passiamo alla seconda contraddizione logica. Per tutta la campagna elettorale Letta ha agitato lo spettro del neofascismo, e della minaccia rappresentata da Meloni per il nostro Paese, ma nei fatti non ha creato quell’argine che ci saremmo attesi, di fronte all’imminenza di un così grave pericolo, perché se davvero ci fosse stata quell’emergenza democratica di cui si è tanto scritto e parlato, ci sarebbe stato, a maggio ragione, un motivo ulteriore per creare una coalizione antifascista, forte e compatta. Anche in questo caso si è assistito ad una sorprendente discrepanza fra gli annunci, gli slogan, e le azioni concrete, le scelte politiche. 

Queste sono alcune delle incongruenze nella strategia di Letta e del Partito Democrarico, poi ci sono i vuoti strategici.

Cos’è mancato al Pd? In un’epoca in cui la politica è anche emozione, suggestione, speranza la proposta politica è parsa priva di cuore, incapace di scuotere gli spiriti disincantati e delusi, che fossero i marginali delle periferie, come i privilegiati dei centri storici. Dopo anni di pandemia, di guerra, di crisi sociale ed economica ci voleva un messaggio dirompente, capace di alimentare quell’orizzonte del desiderio, che è fondamentale per esorcizzare la paura, mentre il Partito democratico si è presentato come il partito della difesa dello status quo, compito peraltro nobile, di fronte all’attacco che subiranno conquiste civili e diritti acquisiti, ma insufficiente a muovere elettori ed energie.  

Coinvolto in una crisi di governo che ha subito e non voluto, trascinato in una campagna elettorale anomala, il Partito Democratico è sembrato stanco e sfiduciato, rassegnato alla sconfitta, svuotato di qualunque forza ideale e passionale. E tuttavia il suicidio del Pd, purtroppo, non riguarda soltanto un gruppo dirigente, chiuso in se stesso, incapace di accordarsi con gli umori del Paese, ma è gravido di conseguenze sull’intero campo del centro sinistra italiano, del quale rimane comunque la forza numericamente più rilevante e per alcuni aspetti imprescindibile. 

Nell’epoca della paura e del disorientamento generalizzato e interclassista l’opinione pubblica ha bisogno di essere rassicurata e diventa sempre più prevalente la figura del politico taumaturgo, che si collega in maniera paradossale alla crisi della rappresentanza politica in senso democratico. La partecipazione popolare e civile si ritrae, la politica è screditata, e diventa vincente la figura del politico profeta, del leader che, moderno Robin Hood, riscatterà le ingiustizie di un Sistema iniquo che però assume sempre più i tratti inquietati di un Potere metafisico, tentacolare, e come tale inattaccabile. In quest’epoca di leaderismo la sinistra non ha leader, ma capitani di ventura improvvisati, che naufragano miseramente nelle acque agitate del malcontento e della depressione sociale. Il popolo chiede una parola di speranza e Letta annuncia realtà e serietà, proposte che con non scaldano i cuori impauriti e non alimentano l’illusione che il peggio sia passato e il meglio deve ancora arrivare.   

E ora? 

Se sommiamo i voti del centro sinistra, da Fratoianni a Calenda, scopriamo che anche in una contingenza sfavorevole, sono superiori a quelli della destra, e questo rende ancora più assurda la gestione divisiva che ha portato alla sconfitta, chiamando in causa i leader di Pd, 5stelle e quel terzo polo che si credeva autosufficiente, in grado di occupare uno spazio centrista che in Italia è quanto mai risicato.  

La sconfitta è quindi anche la naturale conseguenza di una concezione miope e settaria da parte di tutti gli attori del centro sinistra, più attenta ai conti della propria bottega che al bene del Paese e di questo dovranno rendere conto ai milioni di elettori delusi e preoccupati, che vedono oggi il trionfo della destra. 

In questo deserto del cuore questo Pd non ha futuro, perché non accende passioni, non promuove sussulti, e il sole dell’avvenire è tramontato ancora prima di sorgere. 

Al suo posto ci sono i fuocherelli fatui dei Masaniello con le loro promesse irrealizzabili, che finiranno per disilludere un popolo e una società senza speranza. 

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