Rosy Bindi ha chiesto al Pd di riconoscere la crisi irreversibile che sta attraversando, dopo la sconfitta nelle elezioni politiche del 25 settembre, e di iniziare una profonda fase riformatrice. Tanto da arrivare allo scioglimento dello stesso partito. Lo ha confessato in un’intervista a La Stampa.
«Sì, ci ho pensato e ci si risparmi la resa dei conti interna, perché la ritualità del congresso è ormai accanimento terapeutico». Per risanare il Pd e farne il motore di un’alleanza progressista occorre «essere tutti pronti a mettersi a disposizione, fino allo scioglimento dell’esistente, per costruire un campo progressista coinvolgendo quelle realtà sociali che già interpretano il cambiamento e non trovano rappresentanza politica».
C’è già chi si è fatto avanti per la segretaria. «Ci evitino questo spettacolo. Quando Letta divenne segretario, mi permisi di dargli un consiglio: il Pd sostenga con lealtà il governo Draghi, ma non si dica al Paese che questo è il nostro governo. Il Pd non doveva identificarsi con l’agenda Draghi, ammesso che sia mai esistita, perché si trattava di un governo di larghe intese. Bisognava garantire lealtà, sì, ma guardando al futuro. Come sulla guerra: non doveva esserci nessun dubbio da che parte stare, ma come starci forse sì, per esempio rivendicando l’autonomia dell’Europa nell’Alleanza atlantica. Se ti appiattisci sul governo Draghi, è naturale che non puoi fare alleanze con chi lo fa cadere».
«Errori ne sono stati fatti un po’ da tutti, ma forse il partito principale ha qualche responsabilità in più. Dopodiché è vero anche che Conte e il M5s non erano portati a fare un accordo, perché troppo interessati alle sorti del proprio partito».
E il rapporto con Calenda? «Nel nostro appello, Calenda non è un interlocutore. Anche se spero che tutti capiscano l’importanza di una opposizione unitaria: la maggioranza esiste anche nei Paesi non democratici, l’opposizione solo in democrazia». Quale è il giudizio sulla segreteria di Letta? «In realtà sono più severa con i suoi predecessori. Ho apprezzato lo stile con cui non ha abbandonato il campo, con un fax come Martinazzoli o a male parole come Zingaretti. Ma non apprezzo l’idea che sia sufficiente accompagnare il Pd a un congresso ordinario».
Cosa si aspetta dal governo Meloni? «Prima di tutto che si ricordino che non sono maggioranza nel Paese. Leggo che ritengono vecchia la Costituzione: mi piacerebbe chiedere loro se sanno quanti anni ha la Costituzione americana. Da questo governo mi aspetto un ancoraggio all’Europa, e parole chiare sulle intemperanze di una parte del loro mondo. Non credo sia stato corretto in campagna elettorale sbandierare la paura dei fascisti, ma certe frange estremistiche spero siano tenute a bada. Io però non ho paura del passato, sono preoccupata del futuro: fisco, scuola, sanità», conclude Bindi.
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