Sulla guerra e il salario minimo il Parlamento è oggi la fotografia della destra che avanza negli indirizzi di governo e della confusione che regna sotto i cieli di quella che dovrebbe essere l’opposizione. La Camera ha approvato la mozione di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia che impegna l’esecutivo a inviare armi a Kiev per tutto il 2023 e a portare entro sei anni le nostre spese militari al 2% del Pil. La mozione è stata votata anche dal Pd e dal Terzo polo, contrari invece i Cinquestelle e Sinistra italiana – Verdi.
Il significato politico è chiaro: dall’atlantismo spinto e dalla perversa logica che solo la forza può avvicinare la pace non ci si schioda. A me sembra una scelta miope, ma tant’è. L’Italia e l’Europa hanno delegato agli Usa e alla Nato la propria politica estera e su questo fronte non si intravede nemmeno un barlume di possibile alternativa. La stessa opposizione di Conte è troppo in contrasto con le precedenti scelte del M5S per essere credibile. Resta, sostanzialmente, la sola voce del Papa a predicare con autorevolezza lo stop alle armi e la ricerca del dialogo e della trattativa. Ma è una voce inascoltata dalla politica e dal potere che mira a ridisegnare gli equilibri geopolitici del mondo. Un tema su cui ci sarebbero praterie su cui costruire un’idea diversa dell’Europa e ridare un senso alla sinistra, che se non vuole cambiarlo questo mondo non è.
Ma è sul salario minimo che la pochezza della politica italiana ha dato il meglio di sé. Sono state presentate ben cinque mozioni sul tema: una del Pd, una dei Cinquestelle, una di Azione-Italia Viva, un’altra di Sinistra italiana – Verdi e quella dei partiti di maggioranza: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati. La mozione è un atto di indirizzo, quindi non una proposta di legge, ma esprime un principio, la visione che si ha di un certo problema. Ebbene, qui – come già è accaduto sul decreto anti-rave, sull’ordinanza anti-sbarchi e sul liberi tutti all’evasione fiscale (no Pos sotto i 60 euro, tetto del contante a 5.000 euro) – la maggioranza di destra ha fatto vedere di voler fare la destra e ha bocciato l’idea del salario minimo garantito per i lavoratori più sfruttati, cioè quelli non tutelati dai contratti collettivi di lavoro. Un indirizzo che fa il paio con la volontà di abolire il reddito di cittadinanza e che sarebbe stato riassunto così da una delle prime pagine di Cuore: “Siete poveri? Cazzi vostri”.
Le minoranze di centrosinistra, invece, anche su un tema sociale come questo che dovrebbe essere unificante, si sono fatte in quattro. Il Terzo Polo si è addirittura astenuto sulla mozione della maggioranza, e questo la dice lunga sulle manovre di avvicinamento al governo di Calenda e Renzi. Le altre tre sono riuscite a trovare una convergenza solo nel voto contrario alla mozione della maggioranza. Per il resto sono riuscite a dividersi anche sul salario minimo. E su una questione fondamentale, mica pizza e fichi. I Cinquestelle volevano una soglia inderogabile non inferiore a 9 euro l’ora, il Pd di 9,50, Sinistra italiana e Verdi di 10. Era l’occasione per dare un segnale alternativo e di condivisione al Paese, si è preferito marcare il territorio; anzi, no: il marchio. Per di più su un tema, una parola, che il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, vorrebbe addirittura inserire nel logo per cambiare nome al suo partito: da Partito democratico a Partito democratico e del lavoro. E pazienza se l’acronimo (Pdl) sarebbe come quello dell’ex Popolo delle libertà. Mi sa che non ce la possiamo fare.
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