Arturo Parisi è intervenuto all’AdnKronos sulla questione del Pd, in vista delle primarie del 26 febbraio. Uno dei fondatori dell’Ulivo, ha parlato anche della possibilità di cambiarne il nome.
«Utile è sicuramente parlarne, e perciò preziosa la provocazione di chi invita a cambiarlo. Se si pensa con Dante che i nomi sono conseguenti alle cose presenti o ai progetti tutto dipende dalla cosa o dal progetto evocato».
«Considerato quel Nuovo Partito Democratico, scritto da tutte le parti tutto in maiuscolo, con contorno di Congresso e Assemblea Nazionale Costituente per dire di una ripartenza grazie al ritrovamento con gli scissionisti di Art.1, più che utile sarebbe appunto conseguente. Come ho sentito appunto dire da autorevoli esponenti del partito di Bersani e D’Alema. Un nuovo nome sta infatti a significare la chiusura della parentesi aperta nel 2007 e il desiderio di ripartire con più forte vigore in un’altra direzione».
«La specificazione poi con la sostituzione o aggiunta di nuove lettere a quel semplice D, visto che con la condivisa enfasi sul ruolo dei partiti, mi sembra escludere la sparizione della P, mi sembra voglia rappresentare l’abbandono della scelta di rivolgersi alla maggioranza degli italiani, la più ampia possibile, a favore di una proposta più riconoscibile profilata in termini di classe sociale e di riferimenti ideologici. In questa prospettiva PdL o PdS sarebbero nomi che andrebbero bene entrambi. Peccato che il primo sia stato già sciupato da Berlusconi, e l’altro consumato e perciò abbandonato in un’altra stagione».
«La mia risposta è purtroppo scontata. È quella che diedi proprio 23 anni fa di questi giorni, mi sembra ieri, quando come leader dei Democratici in occasione del Congresso dei Ds, riunito al Lingotto, proposi a Veltroni di ragionare assieme sulla fondazione del Pd. Purtroppo senza esito. Ed è anche la risposta che l’anno precedente, per salvaguardare il nome di Pd come nome di tutti, avevamo dato assieme a Prodi a Rutelli e Di Pietro chiamando semplicemente “i Democratici” il Movimento che all’insegna dell’Asinello scalciante era sceso in campo contro la pregiudiziale anti-ulivista che era stata alla base del governo D’Alema», dice Parisi.
«Se e quale nome debba sostituire quello legato al progetto del vecchio Pd è una delle scelte, direi proprio la prima, che possono e debbono dare solo gli elettori in occasione di quelle imminenti primarie che chiamiamo Congresso. Più che utile è perciò doveroso che per consentire questa scelta ogni candidato si pronunci in modo forte e chiaro. Evitando meri argomenti di marketing elettorale e spiegando il nesso esistente tra il nome e la cosa. Nuovi o vecchi che siano. A che cosa serve un Congresso se non a chiarire quali cose stiano dietro le troppe parole che sono andate moltiplicandosi dopo il 25 settembre».
«Letta lo ha detto e ripetuto. `Non è di un nuovo segretario che abbiamo bisogno, ma di un nuovo partito´. Cosa meglio del nome può dire questa sua novità? Chi più degli elettori può decidere se e quale essa sia?», conclude Parisi.