La destra vince ma tra Conte e Letta (e Calenda) sono scintille
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La destra vince ma tra Conte e Letta (e Calenda) sono scintille

Ha detto Letta che Opa contro il Pd ha fatto male a chi l'ha tentata. La replica dura di Conte che se la prende con il 'redivivo' Letta

La destra vince ma tra Conte e Letta (e Calenda) sono scintille
Giuseppe Conte e Enrico Letta
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13 Febbraio 2023 - 21.59


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Vince la destra ma tra Pd, M5s e Calenda sono scintille. Il centrodestra conferma Attilio Fontana in Lombardia e si riprende il Lazio grazie a Francesco Rocca, mentre nel – fu – campo progressista volano gli stracci. Pd, M5S e Terzo polo sono schierati a geometrie variabili, ma il risultato non cambia e tutti sono pronti a riconoscere la vittoria «netta» del centrodestra. E’ sulle responsabilità, però, che i leader si dividono.

Il primo a fare l’analisi del risultato è Enrico Letta. Il Partito democratico, pur facendo i conti con l’astensione in termini di voti assoluti, tiene botta guardando alle percentuali, andando oltre la soglia psicologica del 20% (mancata alle Politiche) sia nel Lazio che in Lombardia. «In un quadro politico per noi particolarmente complicato e con il vento chiaramente contro, il Pd ottiene un risultato più che significativo, dimostra il suo sforzo coalizionale e respinge la sfida di M5S e Terzo Polo – sintetizza il segretario – Il tentativo ripetuto di sostituirci come forza principale dell’opposizione non è riuscito». Di più. «L’Opa contro il Pd ha fatto male a chi l’ha tentata – attacca il leader dem – Ci auguriamo che questo risultato dimostri finalmente a M5S e Terzo Polo che l’opposizione va fatta al governo e non al Pd». Stefano Bonaccini concorda: «La sconfitta di oggi è in continuità con quella delle politiche del 25 settembre scorso, dove un Pd ridotto e un campo progressista diviso regalano un’altra vittoria alla destra, anche quando è in difficoltà», sentenzia. Quanto a M5S e Terzo polo, dice chiaro Bonaccini, «se vorranno continuare ad andare ognuno per sé sappiano che diventeranno i migliori alleati della destra».

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Carlo Calenda non ci sta. «Una certezza nella vita: il Pd non perde mai. E se perde è sempre colpa di qualcun altro. Caro Bonaccini – twitta – avete e abbiamo perso perché siamo minoranza in un paese che non vota. Occorre andare comune per comune a riprendere i voti. Politicismi e alchimie non funzionano». Giorgio Gori punta il dito sulla situazione lombarda. «Possiamo a questo punto serenamente dire che la scelta del Terzo Polo di sostenere Letizia Moratti è stata una sciocchezza? Col maggioritario a turno secco – cinguetta – si è competitivi solo unendo tutto il centrosinistra (sì, pure i 5S). O lo capite o la destra vincerà ogni volta». La replica del leader del Terzo Polo al sindaco di Bergamo non si fa attendere. «Sicuramente non ha funzionato. Non ho mai problemi ad ammettere una sconfitta. La questione però è un poco più complessa. Scorsa volta eravamo tutti con te e hai/abbiamo preso meno del 30%. C’è un’inossidabile voto di destra che fa crescere Fontana anche dopo il disastro Covid», assicura, ammettendo che le Regionali «per un partito nuovo/di opinione sono difficilissime», e rilanciando: «Da domani si accelera su partito unico e si riparte».

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Anche Giuseppe Conte non intende lasciare «che suonino le campane a morto per il M5S». Se di sconfitta si tratta, «rimane circoscritta sul piano territoriale a queste elezioni», dice sicuro. Poi passa al contrattacco puntando il dito contro «il redivivo Letta» che «sembra volere stappare bottiglie di champagne sulla performance del Pd», quando ha «riconsegnato la regione alla destra». Il segretario Pd non ci sta e risponde: «I fatti. I nostri due candidati in Lombardia e Lazio ottengono più voti delle scorse regionali. Le nostre liste, oltre il 20%, prendono più delle politiche. Il Pd la sua parte l’ha fatta. M5S e Terzo Polo non hanno voluto coalizzarsi, dimezzano i voti e se la prendono con noi», insiste.

Adesso la palla passerà al nuovo segretario. All’appello del voto nei circoli mancano solo Lazio e Lombardia: davanti restano Bonaccini con il 54,35% delle preferenze e Schlein con il 33,7%. I due rivendicano l’orgoglio dem, ma chiedono un cambio di rotta.

«Respingo alla radice ogni tentazione all’autoprotezione e all’autoconsolazione identitaria. Non vogliamo che il Pd diventi una ridotta ideologica e di testimonianza, un partito minoritario – commenta il governatore dell’Emilia Romagna – Qualcuno ha detto che i migliori del Pd non starebbero con me, indicando persone che sono state protagoniste di questa serie di sconfitte. Io non ce l’ho con nessuno ma voglio aprire una storia diversa. Diciamo così: se quelli indicati sono i migliori allora si fermano un giro e stavolta facciamo giocare quelli che sono più banalmente normali, discreti, ma che hanno dimostrato di saper vincere contro la destra», attacca. Schlein continua a rivendicare di non essere mai stata parte del gruppo dirigente dem e insiste: «Ora bisogna cambiare per davvero, nella visione, nei volti e nel metodo. Solo così si potrà ricostruire un campo progressista e tornare a vincere insieme. La destra si unisce e vince nonostante le sue contraddizioni. Noi dobbiamo fare la sinistra – chiarisce – quella che si batte per chi fa più fatica».

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