Dal blocco navale al "Piano Africa": i flop a ripetizione del governo 'securista' Meloni
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Dal blocco navale al "Piano Africa": i flop a ripetizione del governo 'securista' Meloni

Si sono inventati un improbabile “Piano Africa”. Hanno viaggiato nei Paese della sponda sud del Mediterraneo. Sono andati in Libia, Tunisia, Turchia, Egitto, alla ricerca di alleati nella guerra ai migranti. I risultati? Un buco nell’acqua

Dal blocco navale al "Piano Africa": i flop a ripetizione del governo 'securista' Meloni
Giorgia Meloni e al-Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Marzo 2023 - 14.58


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Prima hanno vaneggiato il blocco navale. Poi si sono inventati un improbabile “Piano Africa”. Hanno viaggiato in lungo e in largo nei Paese della sponda sud del Mediterraneo. Sono andati in Libia, Tunisia, Turchia, Egitto, alla ricerca di alleati nella guerra ai migranti. I risultati? Un buco nell’acqua. Efficacemente sintetizzato da Luca Gambardella nella sua anlisi si il Foglio.

Questo l’incipit: Tanti viaggi fra una sponda e l’altra del Mediterraneo, tanti vertici, tante strette di mano non hanno portato i risultati sperati dal governo italiano sul fronte dell’immigrazione. Anzi, lungi dall’ottenere il tanto agognato “blocco delle partenze”, i numeri degli arrivi dall’insediamento al Viminale di Matteo Piantedosi sono molto più preoccupanti oggi rispetto a quelli degli anni scorsi, nonostante il ministro dell’Interno si sia prodigato in un notevole attivismo diplomatico…”.

Così stanno le cose. Con l’ossessione dell’esternalizzazione delle frontiere, malattia politica non solo dell’Italia ma dell’Europa intera, il governo securista di Giorgia Meloni si è affannato a individuare nel Mediterraneo autocrati disponibili, se adeguatamente ricompensati in soldi e armi, a fare il lavoro sporco al posto nostro. I Gendarmi del Mediterraneo. In questo si sostanzia la politica mediterranea dell’Italia “meloniana”, il resto sono chiacchiere che solo una stampa mainstream può esaltare, senza arrossire di vergogna. 

Il doni dell’Italia ai gendarmi libici 

Ne scrive su Internazionale Annalisa Camilli, profonda conoscitrice della Libia e delle nefandezze che si consumano nel Mediterraneo. L’articolo è del 9 febbraio scorso: “Il 6 febbraio l’Italia ha consegnato al governo di Tripoli una nuova motovedetta per il pattugliamento delle coste: una classe trecento di nuova fabbricazione, nell’ambito del progetto europeo Support to integrated border and migration management in Libya (Sibmill).

 È la prima di cinque nuove motovedette finanziate dall’Unione europea, che sono destinate alla cosiddetta guardia costiera libica per intercettare i migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale e riportarli indietro nel paese nordafricano. 

La consegna è avvenuta ad Adria, in provincia di Rovigo, alla presenza del ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, della ministra degli esteri libica, Najla el Mangoush, e del commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, mentre fuori dai cantieri navali gli attivisti protestavano contro le politiche migratorie italiane ed europee, denunciando le pesanti violazioni dei diritti umani che avvengono ai danni degli stranieri in Libia. 

La consegna è avvenuta a pochi giorni dal rinnovo del Memorandum d’intesa tra Roma e Tripoli (Mou), avvenuto il 2 febbraio 2023, per altri tre anni. Secondo uno studio di Action Aid, l’Italia ha destinato in sei anni poco più di 124 milioni di euro a Tripoli per la fornitura di mezzi navali e terrestri, di strumentazione satellitare, di corsi di formazione, oltre che per la riparazione d’imbarcazioni e altre forniture. 

“Si tratta di una stima al ribasso realizzata dall’osservatorio sulla spesa esterna in migrazione dell’Italia The big wall”, ha spiegato ActionAid  un comunicato. “Una spesa difficile da monitorare, sia per la complessità nelle modalità di gestione sia per i continui silenzi e dinieghi del ministero dell’interno e del ministero degli affari esteri”, scrive l’associazione nel suo rapporto. 

Le conseguenze dell’accordo

 Tra il 2017 e la fine del 2022 sono state centomila le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse nei centri di detenzione controllati dalle milizie dove sono comuni sequestri, torture e violenze e dove sono stati documentati dalle Nazioni Unite “indicibili orrori”. 

Inoltre in sei anni è raddoppiato il tasso di mortalità in mare su quella che è considerata la rotta più pericolosa del mondo, che ha raggiunto il suo picco nel 2019, quando un migrante ogni dieci che “prendeva il mare” è annegato o risulta disperso. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni dal 2016 a oggi sono state quasi 14mila le persone morte o disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale, considerata la rotta più pericolosa del mondo. 

“Le politiche di esternalizzazione delle frontiere sono finanziate con centinaia di milioni di euro di risorse provenienti dal bilancio dello stato. La maggior parte di questi soldi, in particolare per quanto riguarda la Libia, sono gestiti in modo poco trasparente e senza meccanismi adeguati di accountability in materia di diritti umani”, spiega Lorenzo Figoni di ActionAid. Il parlamento vota i finanziamenti attraverso l’istituzione di fondi ad hoc nella legge di bilancio, ma non chiede mai conto di questa spesa, così come delle strategie e delle politiche che di volta in volta i diversi governi, senza soluzione di continuità, hanno adottato negli ultimi anni in materia di politiche migratorie esterne”.

Altro contributo di spessore è quello di Giulia Tranchina, ricercatrice di Human Wrights Watch per l’Europa e l’Asia Centrale

Annota Tranchina: “Nella continua ossessione di tenere migranti e richiedenti asilo lontani dalle sue coste, l’Italia sta pagando affinché decine di migliaia di persone vengano intercettate e riportate in Libia, dove sono vittime di abusi che le Nazioni Unite descrivono come possibili crimini contro l’umanità.

Il Memorandum d’intesa sulla migrazione stipulato dall’Italia con la Libia verrà rinnovato automaticamente il 2 febbraio per tre anni, dopo la scadenza del termine del 22 novembre per apportare modifiche. Da quando è stato firmato nel 2017, il sostegno tecnico e finanziario fornito dall’Italia alle autorità libiche è stato fondamentale per facilitare l’intercettazione di migliaia di persone che tentavano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia, e il loro ritorno forzato in Libia.

Secondo un rapporto del giugno 2022 della missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia, i migranti nel paese subiscono “omicidi, sparizioni forzate, torture, schiavitù, violenze sessuali, stupri e altri atti inumani… in relazione alla loro detenzione arbitraria”. Nel settembre 2022, il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha dichiarato in un comunicato che, secondo la valutazione preliminare del suo ufficio, gli abusi contro i migranti in Libia “possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra”.

Il governo italiano continua a fornire un sostegno significativo alle autorità libiche nonostante queste conclusioni, gli innumerevoli rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e le ripetute raccomandazioni di sospendere questa assistenza, anche da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite, del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa e della società civile italiana. Il 28 gennaio 2023, il primo ministro italiano Meloni ha visitato la Libia per firmare un ingente accordo sul gas con il paese e ha dichiarato che l’Italia fornirà alla Guardia costiera libica cinque “imbarcazioni completamente equipaggiate”.

Dal 2017 ad oggi, l’Unione Europea ha stanziato 57,2 milioni di euro per la “Gestione integrata delle frontiere e della migrazione in Libia”, e nel novembre 2022 ha annunciato un piano per aumentare ulteriormente il sostegno alla Libia. La sua agenzia di frontiera Frontex fornisce anche informazioni di sorveglianza utilizzate dalla Libia per intercettare i migranti.

Aiutare la Guardia costiera libica, sapendo di facilitare il ritorno di migliaia di persone in Libia dove subiscono gravi violazioni dei diritti umani, rende l’Italia e l’Unione Europea complici di tali crimini.

Gli sforzi per fornire vie legali di uscita dalla Libia sono quasi irrisori e poco più di una foglia di fico, con solo circa 9.000 rifugiati evacuati dall’Agenzia Onu per i rifugiati attraverso un meccanismo di emergenza dal 2017 ad oggi. Di certo non assolvono l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea dalla loro responsabilità per il ritorno, dal 2017 ad oggi, di circa 108.000 persone in Libia, dove soffrono abusi sistematici, e per le morti di migranti in mare e in detenzione per mano delle autorità libiche.

L’Italia e l’Unione Europea devono sospendere questo sostegno alla Libia e garantire che qualsiasi assistenza futura sia subordinata a progressi tangibili da parte delle autorità libiche in relazione al rispetto dei diritti dei migranti e al loro accesso alla giustizia”.

L’autocrate tunisino

Oltre 20 associazioni della società civile tunisina capitanate dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) denunciano in un comunicato congiunto gli arresti arbitrari condotti dalle autorità tunisine nei confronti dei migranti subsahariani in Tunisia e chiedono al governo di “aggiornare e sviluppare un quadro giuridico in materia di immigrazione e asilo per allinearlo agli standard internazionali, nonché di dare priorità all’avvio di una strategia nazionale sull’immigrazione che garantisca l’integrazione e la protezione di diritti”.
“Negli ultimi giorni più di 300 migranti sono stati arrestati, a seguito di un controllo di identità o per la loro presenza in tribunale a sostegno dei loro parenti” – scrive il Forum – “allo stesso tempo, lo Stato tunisino sta facendo orecchie da mercante all’aumento di discorsi odiosi e razzisti sui social network e in alcuni media, che prendono di mira specificamente i migranti dall’Africa sub-sahariana; questo discorso odioso e razzista è persino portato da alcuni partiti politici, che svolgono azioni di propaganda sul campo agevolate dalle autorità regionali”.
Secondo l’ultimo studio dell’Istituto nazionale di statistica, risalente al 2021, il numero dei migranti subsahariani in Tunisia sarebbe di 21.466, compresi gli studenti. Queste cifre smentiscono il discorso razzista discriminatorio basato sull’approccio di amplificazione e sicurezza al trattamento delle questioni migratorie in Tunisia”.

Giro di vite.

Ne dà conto in un documentato report il Post: “Sabato il governo del presidente della Tunisia Kais Saied ha ordinato l’espulsione dal paese della più importante rappresentante sindacale dei paesi dell’Unione Europea, l’irlandese Esther Lynch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (CES). Lynch è stata definita «persona non grata» dalle autorità tunisine per aver partecipato a una delle manifestazioni di protesta organizzate nel corso della giornata in otto città del paese dal maggior sindacato locale.

Le manifestazioni sono arrivate alla fine di una settimana in cui Saied ha dato dimostrazione del sempre maggiore autoritarismo con cui sta governando il paese: martedì erano stati arrestati almeno dieci oppositori politici del presidente, fra cui due politici di alto livello, due giudici, un giornalista di una radio indipendente e uno dei leader del sindacato.

In un messaggio video  sui social Saied ha definito i dieci arrestati «terroristi» e li ha accusati di voler sovvertire l’ordine dello stato e di cospirare per manipolare i prezzi del cibo e alimentare la tensione sociale. Le accuse, che mirano anche a scaricare le colpe del governo nella pesante crisi economica, non sono state presentate con alcuna prova ma in caso di condanna possono portare a pene detentive molto dure, e in alcuni casi anche alla pena di morte.

Per protestare contro gli arresti, il maggior sindacato del paese, che ha oltre un milione di iscritti per una popolazione di 12 milioni di abitanti, ha deciso una nuova giornata di manifestazioni, come quelle già organizzate in più occasioni negli ultimi mesi. Decine di migliaia di membri dell’Unione generale tunisina del lavoro (UGTT) hanno protestato contro le decisioni di Saied e per il pieno ritorno delle libertà civili a Jendouba, Tozeur, Monastir, Bizerte, Kasserine, Kairouan, Nabeul e Sfax.

Esther Lynch ha partecipato alla manifestazione di Sfax, prendendo la parola per chiedere l’immediato rilascio dell’esponente sindacale tunisino e degli altri oppositori politici arrestati, e per «portare un messaggio di solidarietà da 45 milioni di iscritti ai sindacati europei». Il presidente Saied nella serata di sabato ha ordinato la sua espulsione, definendo l’intervento una «palese interferenza negli affari tunisini». Ha respinto allo stesso modo, considerandole interferenze in affari interni, le denunce contro gli arresti per motivi politici da parte di varie Ong che si occupano di diritti umani, fra cui Amnesty International.

La svolta autoritaria di Saied è avvenuta gradualmente negli ultimi tre anni. Nel luglio del 2021 il presidente aveva sospeso i lavori del parlamento, per poi scioglierlo nel marzo del 2022. Successivamente ha governato per decreto, fino all’approvazione di una nuova Costituzione, che gli garantisce ampi poteri e che ha istituito una nuova legge elettorale che non prevede la partecipazione alle elezioni dei partiti, , ma solo di candidati indipendenti. L’affluenza alle prime elezioni che si sono svolte con questa legge, lo scorso dicembre, è stata fra le più basse al mondo, 

e oggi la Tunisia ha un parlamento che non è rappresentativo e ha poteri molto limitati.

Eletto presidente nel 2019, per i suoi primi anni di governo Saied aveva il consenso della maggioranza dei tunisini a cui però è seguita da una perdita di popolarità ormai piuttosto diffusa e palese”.

Annota, con la consueta efficacia analitica Luca Gambardella: “In Tunisia, il presidente autoritario Kais Saied ha denunciato l’esistenza di un fantomatico “piano criminale”, orchestrato per “organizzare una grande ondata” di migranti subsahariani nel paese e realizzare una grande sostituzione etnica. Le dichiarazioni di Saied, rilasciate durante una riunione con i consulenti per la sicurezza del paese, sono state pubblicate sul sito della presidenza tunisina e sono l’ultima trovata ultranazionalista che rientra nella deriva dittatoriale della sua presidenza. Leggendole, sembrerebbe che Saied abbia attinto direttamente al vocabolario della destra identitaria europea, laddove per esempio menziona il rischio di una “trasformazione demografica” del paese per fare della Tunisia “un paese africano, senza alcuna affiliazione ai paesi arabi e islamici”. Non a caso Éric Zemmour, leader dell’ultradestra francese, ha subito dichiarato di condividere le parole di Saied: “La Tunisia vuole agire per difendere il suo popolo – ha detto il leader del Partito della riconquista – Cosa aspettiamo a combattere la Grande sostituzione?”.

In questo ignobile combattimento Saied può contare sul sostegno dei suoi fans italiani: Meloni, Tajani, Salvini, Piantedosi…Fans di governo. 

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