Dopo la sequenza di scivoloni e figuracce è lecito domandarsi: Meloni ha il 'quid' per fare la statista?
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Dopo la sequenza di scivoloni e figuracce è lecito domandarsi: Meloni ha il 'quid' per fare la statista?

Le parole disumane del ministro Piantedosi, l’indecente scaricabarile delle responsabilità del mancato soccorso, il globo terracqueo”: Poi l'insensibilità alle critiche che suona come il “me ne frego” di ducesca memoria

Dopo la sequenza di scivoloni e figuracce è lecito domandarsi: Meloni ha il 'quid' per fare la statista?
Giorgia Meloni
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Claudio Visani Modifica articolo

11 Marzo 2023 - 17.33


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Una domanda sorge spontanea dopo l’incredibile sequenza di scivoloni e figuracce rimediate dal governo sulla tragedia di Cutro: ma la Meloni ce l’ha il quid per fare il presidente del consiglio, la statista? Ho seguito con una certa attenzione questa brutta storia. Le parole disumane del ministro Piantedosi all’indomani del naufragio – “l’unica cosa che va detta ai migranti è di non partire, la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli” – della serie colpa vostra.

L’indecente scaricabarile delle responsabilità del mancato soccorso: colpa di Frontex, colpa degli scafisti, colpa del mare grosso, sembrava uno dei Blues Brothers: non è stata colpa mia, era crollata la casa, c’è stato il terremoto, le cavallette…

L’imbarazzante ricostruzione dei fatti alle Camere dello stesso titolare del Viminale e la lunare riunione del consiglio dei ministri a Cutro dodici giorni dopo la strage. La sconcertante decisione della premier di non andare subito sul luogo del disastro, e meno male che c’è San Mattarella a salvare la dignità di questo Paese. Il pasticcio delle bare che si volevano spedire tutte al cimitero mussulmano di Bologna senza il consenso dei parenti. La farsesca conferenza stampa sulle nuove misure (in realtà inesistenti) per tentare di governare il fenomeno migratorio.

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La sparata sulla caccia agli scafisti e ai trafficanti non solo in Italia ma “nel globo terracqueo”: questa nemmeno lunare, marziana. Infine, il non omaggio alle salme e il mancato incontro con i famigliari delle vittime per volare al party del suo vicepremier (e parente serpente) Salvini, cantando assieme a lui la canzone di Marinella “che scivolò nel fiume a primavera”. 

A parte l’assoluta mancanza di sensibilità umana emersa da comportamenti, parole e scelte dei ministri e della presidente in tutta questa tristissima vicenda. A parte le considerazioni che si possono e si debbono fare sulle oggettive responsabilità politiche della destra xenofoba e sovranista nel governo in questa complessa e delicata materia: se fai dell’immigrato nero e mussulmano un nemico e costruisci le tue fortune elettorali sull’odio, poi il responsabile di quel che quell’odio produce sei tu, mancati soccorsi e stragi di naufraghi comprese. A parte tutto questo voglio soffermarmi qui sulla Giorgia Meloni statista underdog. 

Di lei si sa che si è fatta le ossa nell’unico vero partito superstite del Novecento: non fatevi ingannare dal fatto che Fratelli d’Italia è nato solo dieci anni fa, il dna e le radici sono ancora quelle là. Si è detto che è stata un’abile leader dell’opposizione e che è una politica preparata, con riconoscimenti perfino a sinistra. Si è ricamato molto sulla sfavorita che nessuno ha visto arrivare e che ribalta i pronostici (la underdog, per l’appunto).

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Ma da quando è diventata capo del governo, a me è parso di vedere il suo tentativo di smarcarsi da quella immagine vincente sì ma da capo partito, per evolversi come figura istituzionale e affermarsi come statista. In qualche occasione mi era parso che fosse sulla strada buona, che le uscite sguaiate tipo Madrid con gli ultranazionalisti di Vox (“Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana”) avessero lasciato il passo a un atteggiamento più moderato, a una postura sempre di destra, s’intende, ma più accorta, equilibrata, oserei dire perfino saggia in certi passaggi.

Anche se è sempre rimasta in lei quell’intolleranza e arroganza di fondo così ben descritta da Corrado Augias: “Sarà moglie madre e cristiana ma è anche un po’ fascista”. Ecco, nel caso di Cutro, senza avere la pretesa di giudicare le sue indubbie capacità (e chi sono io per farlo?), a me è parso di vedere che quel quid non c’è stato. Ho rivisto la Meloni di parte, che scende nell’agone della polemica politica invece di fare la Presidente del Consiglio, che pur di difendere i suoi arriva a difendere l’indifendibile invece dell’interesse della Nazione (come lei chiama il Paese), che non riesce a mettersi in sintonia col sentire comune di questa tragedia e si innervosisce pure se i giornalisti gliene chiedono conto e le fanno domande, con una insensibilità alle critiche che suona come il “me ne frego” di ducesca memoria. Una brutta crepa sulla strada per la sua credibilità di statista, direi 

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