Eva Kaili è in carcere in Belgio da dicembre, accusata di corruzione nell’inchiesta Qatargate. Per la prima volta la politica ed ex conduttrice tv greca parla delle sua detenzione. “Nelle prime sei settimane mi è capitato di pensare al suicidio più volte, poi è scattato qualcosa”, racconta in un colloquio con Deborah Bergamini, deputata di Forza Italia, membro della delegazione Italiana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. “Sono innocente, lo dimostrerò”, assicura Kaili.
“Dopo il clamore dei primi giorni di questa vicenda non parla più nessuno. Non mi sento una vittima, mi sento un trofeo di una persecuzione politica di cui fa parte un pregiudizio, un pregiudizio che comunque c’è nei confronti dei parlamentari e dei politici del Sud Europa. I maltesi, i greci, gli italiani e così via”.
Sul fronte della battaglia legale, intanto, l’europarlamentare ha fatto ricorso alla Corte di giustizia Ue, chiedendo di “annullare la decisione del procuratore capo europeo del 15 dicembre 2022, recante la richiesta di revoca dell’immunità parlamentare e di “annullare la decisione della presidente del Parlamento europeo del 10 gennaio 2023 di annunciare tale richiesta durante la sessione plenaria del Parlamento e di deferirla alla commissione giuridica”.
A sostegno del ricorso ci sono diversi motivi. “Primo motivo, che verte sul difetto di competenza del procuratore capo europeo a emettere l’atto impugnato: conformemente alle disposizioni applicabili dell’articolo 9 del regolamento del Parlamento europeo, nel momento in cui il procuratore capo europeo ha adottato la sua decisione del 15 dicembre 2022, solo gli Stati membri erano autorizzati a emettere una decisione siffatta”.
“Secondo motivo, che verte sulla violazione di due requisiti di forma sostanziale: difetto di motivazione, il procuratore capo europeo non approfondisce se sussista o meno un caso di flagrante delitto e se i privilegi e le immunità della ricorrente ostacolino o meno le indagini sulle presunte irregolarità; violazione dei diritti della difesa, né il procuratore capo europeo, né la presidente del Parlamento europeo hanno consentito alla ricorrente di ottenere copia dei documenti alla base delle loro decisioni. Inoltre, la ricorrente non è stata sentita prima dell’adozione degli atti impugnati. Terzo motivo, che verte sul difetto di sufficiente e adeguata motivazione”.