La sconfitta elettorale del centrosinistra è stata imputata da molti alla mancanza di alleanze nel cosiddetto campo largo. Una visione che l’ex ministro Stefano Patuanelli (M5s) non condivide. «La storia recente dimostra che per quanto riguarda il campo progressista non si vince con i cartelli elettorali, ma con proposte politiche serie anche sui territori» confessa a Qn.
«Il centrodestra è un catalizzatore di liste civetta che, nonostante divisioni perfino più profonde del centrosinistra, riesce a compattarsi con cinismo in ragione del voto. Il nostro campo non riesce a farlo, anche perché veniamo da elezioni politiche molto particolari, in cui di fatto è stata fatta una campagna elettorale da tutti contro tutti nonostante la legge elettorale imponesse le alleanze. A mio avviso occorre ancora del tempo, stabilità nei rapporti tra le varie componenti del nostro campo e rispetto reciproco».
Il vento della destra «c’è, ma non è imbattibile, anzi. Ritengo che a livello nazionale ci sia molto equilibrio, ma sul locale, per le ragioni che dicevo prima, il campo progressista è molto più in ritardo. Servirà tempo, inutile negarlo, per rimettere assieme i cocci. E soprattutto, servirà un atteggiamento costruttivo da parte di tutte le componenti di questo campo, senza puntare a ruoli egemonici bensì collaborativi». Alla caduta del governo Draghi «è seguito un tentativo del Pd di distruggerci. Ora è difficile ricostruire un rapporto di fiducia che agisca sui progetti. Lo ripeto, serve tempo. Ma sono fiducioso».
Il centrodestra, per Patuanelli, «in pochi mesi di governo ha fatto disastri che sono stati coperti da astute armi di distrazione di massa. Lo stesso reddito di cittadinanza non è stato smantellato, ma solo gravemente peggiorato. Sul tema del lavoro torna di fatto il jobs act, sul Pnrr la maggioranza ha addirittura parlato di frittata fatta. Per le imprese sono stati combinati dei pasticci sia sul Superbonus sia su misure come il Piano Nazionale Transizione 4.0. Su questi temi sembra che il Pd sia sulle nostre stesse posizioni, almeno una parte dei dem»