Dopo le parole contro il governo Netanyahu e in sostegno dei civili palestinesi, la presenza di Patrik Zaki è diventata sgradita in molte manifestazioni pubbliche ed eventi culturali. Un atteggiamento di censura che di certo non aiuta a svelenire un clima da tifo da stadio, creato intorno a quanto sta accadendo a Gaza.
Intervistato dal Corriere della Sera, l’attivista ha spiegato ancora una volta la propria posizione. «Io non ho nulla a che fare con Hamas. Sono cristiano e sono di sinistra, non sono un integralista islamico. In Egitto, quelli come me vengono uccisi dagli integralisti islamici. Nel 2014 raccolsi aiuti umanitari per Gaza, ma mi dissero che era meglio che non andassi a portarli, perché non sarei stato il benvenuto».
«Io sono per la Palestina, non per Hamas. E spero che tutti gli ostaggi siano liberati. Tutti, a cominciare dagli italiani. Non dimentico che l’Italia si è battuta per la mia libertà».
«Io sono contro l’attuale governo di Israele e le politiche che ha seguito negli ultimi anni. E non sono l’unico a pensarla così: le azioni di questo governo sono state criticate, sia in passato sia in questi giorni, da diversi Paesi, compresi gli Stati Uniti».
Rispetto alle sue parole su Netanyahu, definito un serial killer, Zaki commenta: «Cosa mi è venuto in mente? Ho pensato a tutti i civili, a tutte le persone, tra cui donne e bambini, che sono state uccise a Gaza negli ultimi anni – risponde -, alla mia cara amica Shireen Abu Akleh, la giornalista che è stata uccisa l’anno scorso da soldati israeliani mentre lavorava in Cisgiordania».