Nicola Zingaretti, presidente della Fondazione Pd, in un’intervista a Il Messaggero ha parlato delle prossime sfide elettorali che aspettano il centrosinistra, dopo la vittoria alle regionali in Sardegna.
«I progressisti sardi sono stati bravissimi. E Meloni paga, dopo un anno e mezzo, la sua identità di leader brava a fare l’opposizione ma meno a governare. E’ il limite delle destre populiste, che quando governano mostrano le loro contraddizioni».
«Specie nei sistemi a turno unico, uniti si può vincere, divisi si perde di sicuro. Non servono gli schemini politici, ma radicamento sociale, chiarezza di identità e cultura unitaria. Mi fa piacere che questa considerazione stia diventando patrimonio comune. Devo intanto dare atto a Schlein di aver tenuto la barra dritta, quando da altre parti prevaleva l’illusione che bastasse pensare all’identità di partito rispetto al Paese. Non si può fare un’alleanza a tutti i costi, ma a tutti i costi bisogna provarci. Quella di Todde era un’ottima candidatura, ma già in Abruzzo c’è quella di D’Amico, civica, ugualmente ottima, più vicina al Pd che ci consente anche di presentare un’alleanza ancora più larga».
Sulle aperture di Calenda «non ci sono schemi a tavolino. Questa è una fase storica nella quale non bisogna alimentare le differenze ma i punti in comune. Il centrodestra fondato da Berlusconi non c’è più, ora ce n’è un altro molto più a destra che fa fatica a ritrovare un’agenda condivisa e anche una solidarietà interna che Berlusconi aveva sempre garantito. Il voto in Sardegna è il segno di una crisi politica».
Dalle Europee Zingaretti si aspetta «che emerga ancora di più quello che già si è visto. Le destre sono maggioranza parlamentare, ma non sono la maggioranza del Paese».
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