Il 30 aprile 1993 sarà ricordato non solo come una data nel calendario, ma come un momento svolta nella storia della democrazia italiana. Quella sera, sotto il cielo stellato di Roma, un evento senza precedenti ha scosso le fondamenta della politica e del sistema giudiziario: l’epica protesta delle monetine contro Bettino Craxi.
Tangentopoli aveva già gettato l’ombra della corruzione su molte figure di spicco della politica italiana, e Bettino Craxi, segretario del PSI, era al centro di questo vortice di scandali. Ma quando la Camera dei Deputati respinse quattro delle sei autorizzazioni a procedere richieste dalla magistratura contro di lui, il popolo si ribellò e divenne il “giudice” attraverso le monetine.
Non fu un atto improvviso e spontaneo ma la diretta conseguenza di una campagna mediatica, culturale e giudiziaria che andava avanti dal 17 febbraio 1992, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal Gip Italo Ghitti un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del Psi milanese.
Da allora gli italiani trascorsero un paio d’anni in un sovraccarico informativo giustizialista che ha contribuito a seminare un distacco fra il popolo e le istituzioni, fenomeno che resiste tutt’oggi. Furono quelli gli anni della transizione fra la Prima e la Seconda Repubblica, dove si alimentò quel sentimento diffuso sul quale si è costruito il nuovo della politica che poi di veramente nuovo ha avuto ben poco. Fu il tempo nel quale ai giudici di Mani Pulite, come novelli Robin Hood, il “popolo” assegnava la piena libertà di agire come unica arma “democratica” contro la politica corrotta.
Craxi, che è stato il più eclatante esempio di nazionalpopulismo attraverso il culto della personalità, riuscì a trasmetterlo dal rifugio di Hammamet alla neonata Seconda Repubblica, e pur dissimulato nel marchio del berlusconismo non mutava i processi politici della Prima. È evidente come il più radicato e potente populismo di oggi abbia preso il via da quella campagna mediatica, culturale e giudiziaria. L’antipolitica odierna è nata proprio con i “forza Di Pietro” e con i vocianti talk show che hanno impegnato gli italiani e i suoi rappresentati politici a tempo pieno.
Mentre in altri luoghi si costruivano le basi della globalizzazione e della rivoluzione digitale, noi italiani investivamo nell’indottrinamento demagogico che ha costruito una generazione capace di produrre un barbaro scontro tra la corruzione politica e la via giudiziaria al potere con i processi sommari in piazza e sui giornali. Difficile fare i conti con Craxi senza rabbia e senza pregiudizi ma è oggettivo rilevare come il sentimento dell’anticraxismo sia diventato poi antiberlusconismo ed è ancora li, pregnante, nella confusa opposizione al governo che, come al solito, cambia marchio ma non il metodo e, nella sua variante di destra, resta in cima ai sondaggi.
Insomma quell’evento di ribellione, davanti all’Hotel Raphael di Roma dove Craxi risiedeva, non era solo una manifestazione di ira e frustrazione, ma segnava un punto di svolta nella percezione della giustizia per il popolo italiano che vedeva nelle aule dei tribunali l’unica speranza per combattere la corruzione e l’abuso di potere.
Sono passati trentuno anni da quel 30 aprile del 1993 quando le monete hanno suonato come campane di libertà e di rivolta. Ora, più che mai, dobbiamo assicurarci che il loro suono non si trasformi in un requiem per la giustizia e per la democrazia che potrebbe farci scivolare in un Paese in cui il caos e la vendetta potrebbero avere il sopravvento sulla legge e sull’ordine.