Preti e vescovi si interessino di politica, ma non in campagna elettorale
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Preti e vescovi si interessino di politica, ma non in campagna elettorale

Non è affatto opportuno, anzi è contrario a quanto ci insegna il magistero, appoggiare apertamente candidati, presentarli come candidati cattolici “doc

Preti e vescovi si interessino di politica, ma non in campagna elettorale
Papa Franceso
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

13 Maggio 2024 - 16.34


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Nella formazione della classe dirigente italiana, non solo politica, tanto hanno contribuito i pastori delle nostre comunità, sia preti che vescovi e, in alcuni casi, anche pontefici: da Giovanni Bosco ad Agostino Gemelli, da Romolo Murri a Luigi Sturzo, da Angelo Roncalli a Emilio Guano, da Giovanni Battista Montini a Giuseppe Dossetti e Franco Rodano, da Lorenzo Milani a Giuseppe Puglisi, da Primo Mazzolari a Luigi Di Liegro, da Benedetto Calati a David Maria Turoldo, da Giacomo Lercaro a Ernesto Balducci, da Serafino Germinario a Michele Mincuzzi, da Giuseppe De Luca a Tonino Bello, da Giuseppe Diana a Mariano Magrassi e tanti altri pastori, conosciuti e non. Molti politici, professionisti, responsabili di istituzioni, imprenditori, magistrati, sindacalisti, giornalisti hanno ricevuto dai loro pastori non solo una solida formazione cristiana, ma anche i mezzi, o almeno lo sprono, ad acquisire la competenza necessaria per operare nel mondo. Si pensi ai fulgidi esempi di laici come Pier Giorgio Frassati, Giuseppe Toniolo, Armida Barelli, Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, Giuseppe Capograssi, Aldo Moro, Vittorio Bachelet, Rosario Livatino, Pier Santi Mattarella, per citarne solo alcuni. 

Molto spesso questa tradizione si è interrotta, in modo particolare quando le nostre comunità si sono chiuse in due noti estremismi: la fuga dal mondo oppure l’attivismo sociale e politico. Infatti il primo, quello verticalista non ha nessuna attenzione al mondo, né tanto meno a formare laici maturi perché si impegnino in esso; il secondo, invece, quello orizzontalista disperde competenze e carismi nella confusione dell’attivismo sterile o di corto raggio.

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Molte delle responsabilità dell’assunzione di uno o dell’altro dei modelli ecclesiali estremi sono da attribuire soprattutto alla formazione e all’operato del clero. La storia del movimento cattolico italiano, inoltre, insegna, attraverso le figure dei pastori impegnati nell’attività sociopolitica, che non è facile definire le modalità di questo operare. Fatto salvo il divieto di assumere cariche istituzionali e politiche (come da normativa canonica), il compito dei vescovi e dei presbiteri è quello di formare e seguire pastoralmente coloro che sono impegnati in politica, come nel mondo. L’impegno dei pastori cattolici quindi si ferma al formare e all’aiuto, nel discernimento personale, di coloro che intendono candidarsi. Quindi non è affatto opportuno, anzi è contrario a quanto ci insegna il magistero, appoggiare apertamente candidati, presentarli come candidati cattolici “doc”, permettere loro che intervengano in contesti ecclesiali durante la campagna elettorale, rivolgersi a loro per chiedere favori e raccomandazioni varie e così via.

Del resto, nelle nostre parrocchie, gruppi, movimenti e diocesi non si può dare nessuna indicazione di voto nel rispetto della sensibilità politica di tutti i fedeli. Il Vaticano II e Paolo VI hanno ben chiarito diversi nodi. «Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi», scriveva Paolo VI nel 1971, sulla scia di Gaudium et Spes, 76. L’affermazione conciliare pone fine a qualsiasi collateralismo fra comunità cristiana e partiti politici proprio perché presenta con chiarezza l’autonomia della sfera temporale da quella religiosa, restituendo alla comunità cristiana il suo proprio ruolo di profezia e coscienza critica, il suo evangelico servizio nei confronti dei detentori del potere e dell’intera comunità civile. L’invito ad impegnarsi in politica, da parte del magistero, non contiene in sé un’indicazione di schieramento e/o di partito. Per questo motivo il magistero si limita a ricordare solo le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili nell’azione politica dei cattolici (Nota sui politici, Dottrina della fede, 2002, testo emanato dall’allora card. Ratzinger). Come resta fermo il punto che è un dovere morale votare; quindi, è peccato grave non farlo e il nostro voto deve andare a candidati di provata maturità umana, di solida moralità e in possesso di competenze sufficienti a svolgere il ruolo per cui si candidano

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La particolare situazione politica italiana non solo, a mio avviso, chiede un rinnovato impegno dei pastori in questa opera di formazione e di guida (mai e poi mai di campagna elettorale o attività simili), e invita un po’ tutti a riflettere su alcuni estremismi che possono verificarsi quando i pastori si interessano di questi ambiti. 

La politica è un campo minato, basta ben poco per incorrere in pericoli. Privilegi, finanziamenti, campagne ed accordi elettorali, deleghe ai partiti e via discorrendo sono, a volte, terreno per un proficuo e onesto incontro tra politica e Chiesa cattolica, ma, altre volte, zone rischiose, con diverse mine vaganti. Le mine hanno differenti nomi: chiedere per favore ciò che spetta per diritto, delega in bianco, prese di posizioni poco motivate e fondate, scambi di voti con privilegi e di profezia con potere, ragion di Stato a patto con ragion di Chiesa e così via. Viene in mente la pagina dell’appena diciassettenne Primo Mazzolari, che scriveva, con schiettezza e lungimiranza, dopo aver incontrato compagni di seminario troppo attivi nelle elezioni, come questi erano ormai diventati galoppini elettorali e concludeva profeticamente: «Un voto ci farà perdere un’anima»; affermazione che, anni dopo da prete, spesso contestato per il suo ministero, preciserà affermando «il mio ministero è e vuole rimanere fuori e sopra la politica».

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