Ilaria Salis parla per la prima volta, intervistata da La Repubblica e dal Tg3 la candidata alle elezioni Europee per Avs rompe il silenzio dagli arresti domiciliari in cui si trova, a Budapest.
«Ho più paura per la mia famiglia quando mi fa visita e mi dispiace che siano in pena per me. Dopo tutto ciò che mi è capitato qui, sinceramente non so cosa mi debba aspettare ancora in questo Paese. Senz’altro sarei più tranquilla in Italia».
«Dovrò rimanere ai domiciliari qui in Ungheria ed affrontare un processo in cui potrebbero condannarmi fino a 24 anni di carcere. Io continuerò a essere quella che sono: una donna che si batte per l’uguaglianza e la libertà, al di là di dove si trova in un determinato momento. E in Europa continuerà ad esserci questo enorme problema di ingiustizia».
«Essere antifascista militante per me significa tante cose, tutte ugualmente importanti e complementari. Non significa soltanto contrastare la diffusione di organizzazioni fasciste, ma anche lottare contro le oppressioni, assumendosi la responsabilità storica della lotta per la libertà, nell’uguaglianza dei diritti».
«Per me l’antifascismo è qualcosa di vivo e sentito non è una dichiarazione vuota, formale e, probabilmente, ipocrita. Anche gli appelli alla Costituzione, per quanto legittimi, doverosi e importanti, da soli non bastano. Infatti per me è importante dare vita ad una nuova cultura popolare antifascista, che affondi sì le proprie radici nella gloriosa tradizione dei partigiani, ma che si nutra anche e soprattutto del presente. Una cultura vicina alle grandi questioni di oggi, come la diseguaglianza sociale, le discriminazioni, le guerre e il cambiamento climatico».
Alla domanda se tornerebbe a Budapest per manifestare contro il raduno neonazista, Salis risponde: «Non è importante quello che farei io. Il punto è che raduni di questo genere in Europa non devono proprio esserci. Spero che la mia vicenda possa aiutare a sviluppare questa consapevolezza».
«Tornerò a insegnare? Certo che sì, non appena potrò. Amo il mio lavoro e mi è mancato durante questo anno. Purtroppo per colpa dell’arresto non ho potuto partecipare al concorso pubblico a marzo, quindi continuerò a insegnare come supplente. È stato bello per me ricevere sostegno da colleghi, presidi e genitori, che ringrazio».
Alla domanda su come racconterà di sé ai suoi alunni, Ilaria Salis risponde: «Se mi chiederanno qualcosa, risponderò volentieri alle loro domande. Mi piacerebbe soprattutto parlare di storia, per spiegar loro a quanta inutile sofferenza l’umanità si è sempre condannata. E, purtroppo, continua a condannarsi».
Se eletta al Parlamento Europeo, Ilaria Salis si occuperà innanzitutto «dei diritti umani dei detenuti in Europa e in Italia. Voglio partire dalla mia storia personale, trasformandola in qualcosa di costruttivo. Sono un’insegnante precaria e militante antifascista, mi voglio battere per il diritto all’istruzione, i diritti dei lavoratori e dei precari, per contrastare le destre radicali e ogni forma di intolleranza».
Gli arresti domiciliari che le sono stati concessi, sottolinea Ilaria Salis, «sono solo una tregua, la mia battaglia non è affatto finita. E soprattutto non è soltanto mia, è la battaglia di tutti coloro che si trovano a subire analoghe situazioni di ingiustizia». A
«Dalla cella alla campagna elettorale il passaggio è stato brusco. Mio padre continuerà il lavoro che ha iniziato. Io sono molto motivata e determinata, definirò presto le modalità di un intervento diretto, compatibilmente con la mia situazione giudiziaria, personale e materiale. La candidatura è stata un passaggio molto importante e ne approfitto per ringraziare chi mi ha offerto questa possibilità. Ma un vero punto di svolta non c’è stato, non sono ancora uscita dal pozzo».
«Durante i primi periodi il tempo non passava mai perché ero abituata ai ritmi di una persona libera e attiva. Sola, rinchiusa, senza contatti con l’esterno, non sapevo neppure che ore fossero, la notte era indistinguibile dal giorno. Poi, pian piano, le cose sono un po’ migliorate. Si trova il modo per sopravvivere, si riesce a gestire la monotonia di giornate tutte uguali. Però, certo, che tu sia da sola o con altre sette persone, 23 ore al giorno in cella sono alienanti. A volte il pensiero di rivedere la luce sembrava irraggiungibile, però devo dire che non ho mai perso la determinazione a resistere. Il pozzo non è soltanto il carcere con le sue mura e le sue sbarre. Il pozzo è anche trovarsi ai domiciliari all’estero ed essere sottoposta a un processo in cui si rischiano 24 anni di carcere. Forse, in questo momento, l’uscita può sembrare più accessibile, ma non sono ancora fuori. È stato compiuto un primo passaggio, il percorso non è concluso».
Salis racconta che suo padre le ha fatto avere in carcere «prima l’Inferno di Dante, poi il Purgatorio. Sono libri miei, sono contrassegnati dalle mie note. Li ho letti per ore e ore. Poi fogli di quaderno, su cui ho scritto molto. E ricamavo, anche. Sono a casa da pochi giorni e la percezione del tempo è completamente diversa, ora il tempo vola».