Generalmente, i buchi neri molto grandi si trovano al centro di galassie altrettanto grandi, dalle quali hanno ricavato l’enorme quantità di materiale necessario al loro gargantuesco accrescimento. Ora un gruppo internazionale di astronomi, guidati da Anil Seth della University of Utah, ha trovato un buco nero supermassiccio – come vengono definiti i buchi neri con massa equivalente almeno a 1 milione di stelle come il Sole – in un bozzolo di stelle molto piccolo: la galassia nana ultracompatta M60-UCD1, la più piccola galassia conosciuta ospitante un mostro di tali dimensioni. La scoperta, pubblicata sull’ultimo numero di Nature, induce a pensare che i buchi neri giganti possano essere più numerosi di quanto si ritenesse finora.
Le galassie nane ultracompatte sono tra i sistemi stellari più densi nell’universo. M60-UCD1 è il più massiccio della categoria, con una stazza totale stimata attorno ai 140 milioni di masse solari. Posizionata a circa 54 milioni di anni luce dalla Terra, M60-UCD1 appare insignificante rispetto alla galassia di cui è satellite, la maestosa M60, una delle galassie più grandi di quel circondario cosmico che gli astronomi definiscono “universo locale”.
Utilizzando il telescopio ottico e infrarosso Gemini Nord alle Hawaii, assieme a osservazioni effettuate dallo Hubble Space Telescope, i ricercatori hanno scoperto che M60-UCD1 è veramente una galassia da record: ospita infatti un buco nero supermassiccio da ben 21 milioni di masse solari. Una mole straordinaria, considerando che rappresenta il 15% della massa complessiva della galassia nana ultracompatta. Per fare un paragone, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea, con i suoi 4 milioni di masse solari, costituisce appena lo 0,01% dei 50 miliardi di masse solari stimati per l’intera nostra galassia.
«Questo è piuttosto sorprendente, dato che la Via Lattea è 500 volte più grande e più di 1.000 volte più pesante della galassia nana M60-UCD1», ha commentato Seth. «Riteniamo che in passato questa fosse un grande galassia, costituita da qualcosa come 10 miliardi di stelle, che si è trovata a un certo punto a transitare molto vicino al centro di una galassia ancora più grande, M60 appunto. In questa interazione, tutte le stelle e la materia oscura nella parte esterna della galassia sono state strappate via e divenute parte di M60». Il ricercatore ha spiegato che il progressivo processo di spoliazione può essere durato attorno ai 500 milioni di anni, ed essere avvenuto in un’epoca imprecisata ma risalente anche fino a 10 miliardi di anni fa.
La nuova scoperta induce gli autori dello studio a ritenere che un gran numero di altre galassie nane ultracompatte possano ragionevolmente contenere buchi neri supermassicci al loro interno, essendo probabilmente, come M60-UCD1, il residuo di galassie più grandi, spogliate dall’interazione con altre galassie. «Non conosciamo nessun altro modo in cui si possa produrre un buco nero così grande in un oggetto così piccolo», ha spiegato Seth.
Conclusioni che trovano concorde Eleonora Torresi, ricercatrice dell’INAF-IASF di Bologna, a cui abbiamo chiesto di commentare il nuovo studio. «La scoperta che anche nel centro della galassia nana ultracompatta M60-UCD1 possa esistere un buco nero supermassiccio è un risultato molto importante», sottolinea Torresi, «che conferma quanto già ipotizzato in un lavoro pubblicato lo scorso anno sullo stesso oggetto (vedi Doppio concentrato di galassia su Media INAF). In quel precedente lavoro, la presenza di un buco nero era indicata dall’emissione in raggi X al centro di M60-UCD1, emissione la cui luminosità suggeriva che il buco nero stesse accrescendo materiale ad un tasso simile a quello di buchi neri in galassie più grandi e massicce. Ora in questo lavoro, grazie a dati ad alta risoluzione spaziale ottenuti con il telescopio Gemini Nord, gli autori sono riusciti a rivelare la presenza di un buco nero al centro di M60-UCD1 e, combinando misure di cinematica stellare con immagini prodotte da HST, sono stati in grado di stimarne la massa».
Nel riepilogare le ulteriori conclusioni dello studio, in particolare l’ipotesi che M60-UCD1 sia il residuo di una galassia ben più grande depauperata da uno scontro galattico, Torresi ribadisce che, al pari di M60-UCD1, molte altre UCD (ultra-compact dwarf, galassie nane ultracompatte) potrebbero ospitare buchi neri supermassicci. «Ciò implicherebbe un interessante aumento del numero di buchi neri che popolano l’universo locale», dice in conclusione la ricercatrice. «Per una classe di oggetti piuttosto recente come le UCD, che fino ad una decina di anni fa si pensava fossero singole stelle o galassie molto lontane, questo risultato rappresenta un grande passo in avanti nella loro conoscenza».