Può sembrare la sceneggiatura di un film, eppure i fisici teorici studiano questi scenari da almeno 50 anni, ed esistono complicati ed eleganti calcoli matematici in grado di descriverli. L’ultima formulazione è stata pubblicata su “Physical Review X” da un team di studiosi australiani e statunitensi.
di Davide Patitucci.
Secondo lo strano mondo della meccanica quantistica, abitato da atomi e particelle,
esiste un universo in cui questo articolo non è mai stato scritto. E, a
un tempo, un altro mondo in cui è possibile leggerlo e commentarlo.
Bizzarrie della realtà a livello dei suoi costituenti più intimi,
governata da fenomeni che spesso fanno a pugni con il senso comune. E
che hanno fatto storcere il naso persino ad Albert Einstein. Come la teoria del multiverso, in base alla quale esisterebbe una pluralità di universi paralleli,
al punto che ogni decisione che ciascuno di noi prende in questo mondo
ne creerebbe di nuovi. Secondo questa interpretazione, ci sarebbe, ad
esempio, un mondo in cui il Terzo Reich è uscito vincitore dalla II guerra mondiale, e un altro in cui Hitler è uno sconosciuto pittore.
Può sembrare la sceneggiatura di un film, eppure i fisici teorici
studiano questi scenari da almeno 50 anni, ed esistono complicati ed
eleganti calcoli matematici in grado di descriverli. Secondo l’ultima
formulazione, appena pubblicata su “Physical Review X” da un team dell’University of California a Davis, e della Griffith University australiana, non solo gli universi paralleli esisterebbero davvero, ma potrebbero persino interagire.
Quando fu introdotta per la prima volta negli Anni ’50 dal geniale matematico americano Hugh Everett III, all’epoca in forze alla Princeton University,
la teoria dei molti mondi venne derisa. Everett riuscì a fatica a
pubblicarla, e alla fine abbandonò disgustato la carriera accademica.
Negli anni, però, le sue raffinate spiegazioni di alcuni strani fenomeni
del mondo subatomico, come la capacità delle particelle di coesistere in luoghi diversi – stranezze che spingevano il premio Nobel Richard Feynman ad
affermare che “chiunque crede di aver capito la meccanica quantistica,
non l’ha compresa abbastanza” – hanno fatto sempre più breccia tra i
fisici.
“Secondo la teoria di Everett – spiega Howard Wiseman,
a capo del team australiano – ogni universo si divide in una serie di
nuovi universi, quando viene effettuata una misurazione quantistica.
Partendo dalle sue intuizioni, abbiamo dimostrato che è proprio
dall’interazione tra questi mondi, soprattutto repulsiva, che
nascerebbero i fenomeni quantistici”. “Nel multiverso – aggiunge su New Scientist David Deutsch, fisico della Oxford University
– ogni volta che facciamo una scelta si realizzano anche le altre,
perché i nostri doppi negli universi paralleli le compiono tutte”.
Un’idea sfuggente, difficile da accettare ma, a pensarci bene, non del
tutto negativa. Il pensiero che, di fronte alle scelte più difficili di
tutti i giorni, ogni possibile alternativa abbia l’opportunità di
realizzarsi potrebbe essere in fondo rassicurante.
“Il multiverso mi ha reso una persona più felice – commenta sempre su New Scientist Max Tegmark, fisico del Mit
-. Mi ha dato, infatti, il coraggio di correre più rischi”. Ma come
provare queste teorie e legarle a fenomeni fisici osservabili? Secondo Lisa Randall, prima donna a ottenere la cattedra di Fisica teorica alla Harvard University, una possibile strada è il legame con le ricerche sulla natura della forza di gravità.
In base ai suoi studi, tra i più citati degli ultimi anni, gli altri
universi, vicinissimi al nostro anche se invisibili, sarebbero immersi
in uno spazio a più dimensioni, come un arcipelago di isole sparse
nell’oceano. Su uno di questi isolotti sarebbero concentrate le
particelle che trasportano, come fanno i fotoni con la luce, la forza di gravità. Si chiamano gravitoni
e sarebbero gli unici in grado di saltare da un universo all’altro. Ma
solo alcuni riuscirebbero a “visitare” il nostro universo. Ecco perché
la forza di gravità ci appare così debole, poiché diluita su più
universi, che la assorbono come una spugna. “Uno degli scopi dei miei
studi è spiegare perché la forza di gravità è così debole in confronto
alle altre forze fondamentali della natura – spiega la
studiosa nel suo libro “Passaggi curvi” -. Un piccolo magnete, infatti,
può attirare una graffetta, nonostante la Terra nella sua interezza
eserciti su di essa la propria attrazione gravitazionale”.
Il battesimo sperimentale a queste ricerche teoriche potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno, al Cern di Ginevra, con la riaccensione alla sua massima energia di Lhc, l’acceleratore di particelle più potente del mondo.
Questa macchina, una pista magnetica di 27 chilometri capace di sondare
la struttura più intima della materia, potrebbe essere in grado di
vedere i gravitoni, fino ad ora mai osservati direttamente. “Con Lhc
potremmo trovare particelle che non esistono più dai tempi del Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa – sottolinea Randall
-. Tra loro potrebbero essercene alcune che vivono solo su altre
dimensioni, o persino su altri universi. La loro osservazione, quindi,
sarebbe una prova importante dell’esistenza di altri mondi”. Queste
particelle, infatti, lascerebbero una sorta d’impronta gravitazionale
sul nostro universo. Come un’ombra che si allunga su un muro in un
giorno assolato.
Come spesso accade nella scienza, gli studiosi vivono e si muovono ai
bordi della conoscenza. “Non sappiamo come questi studi cambieranno la
nostra percezione del mondo – afferma Randall -. Lo stesso Einstein non
poteva prevedere che la sua teoria della Relatività avrebbe un giorno
trovato applicazioni nel Gps. Esistono nell’universo
molte regioni ancora inesplorate – aggiunge la studiosa -. Sapere cosa
cercare è spesso difficile, ma questo non deve scoraggiare. Ciò che
ancora non si conosce deve servire da stimolo per porsi nuovi interrogativi. È questo – conclude la scienziata di Harvard – che rende la scienza accattivante”.
Lo studio su Physical Review X
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