Tutto da riscrivere sugli asteroidi
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Tutto da riscrivere sugli asteroidi

Le collisioni fra embrioni planetari sarebbero il processo che ha dato origine alle misteriose condrule presenti nelle meteoriti. <br>

Tutto da riscrivere sugli asteroidi
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15 Gennaio 2015 - 12.59


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di Marco Malaspina

Se confermata, è una di quelle scoperte che costringeranno ad aggiornare Wikipedia. Dove alla voce [url”condrule “]http://en.wikipedia.org/wiki/Chondrule[/url](consultata nell’edizione inglese, in italiano manca) leggiamo ancora oggi che si tratta di sferette tondeggianti presenti nelle [url”condriti”]http://it.wikipedia.org/wiki/Condrite[/url], e fin qui nulla da eccepire, le quali sarebbero a loro volta i mattoncini – the building blocks – del nostro sistema planetario. Ebbene, potrebbe essere andata proprio al contrario: secondo quanto ricostruito da un team di planetologi del MIT e della Purdue University, coordinati da un’autorità del settore qual è Jay Melosh, sarebbero infatti i pianeti all’origine delle condrule, e non viceversa. Per la precisione, l’impatto fra planetesimi di grandi dimensioni, nell’ordine dei 10 km di diametro.

L’origine delle condrule è un enigma di lunga data. È da più d’un secolo che gli scienziati analizzano questi grani di dimensioni millimetriche, presenti delle meteoriti, senza mai riuscire a giungere a una conclusione convincente e condivisa circa la loro formazione. Fra le ipotesi più recenti, persino quella che a generare le alte temperature necessarie a liquefare la roccia siano stati i campi magnetici presenti nel disco protoplanetario primordiale.

Ebbene, stando al modello messo a punto dal team di Melosh, descritto sull’ultimo numero di Nature, non c’è bisogno di spingersi a tanto: a spiegare la loro formazione e la loro abbondanza sarebbero sufficienti impatti fra protopianeti avvenuti durante i primi cinque milioni di anni d’accrescimento planetario. Se l’impatto avviene a velocità di almeno 2.5 chilometri al secondo, si legge nell’articolo firmato da Brandon Johnson e colleghi, il materiale roccioso raggiunge, nella regione circostante la superficie di collisione, temperature sufficienti a fondere la roccia e a espellerla sotto forma di getto liquido. Getto che a sua volta dà origine a goccioline di scala millimetrica, le quali si raffredderebbero poi a una velocità compresa fra i dieci e i mille gradi all’ora, compatibilmente con quanto richiesto per produrre condrule come quelle effettivamente osservate nelle meteoriti.

«Comprendere il processo alla base della formazione delle condrule è un po’ come guardare attraverso il buco della serratura: anche se non ci permette di vedere tutto ciò che accade dietro alla porta, ci offre una visione chiara di una porzione dell’altra stanza, che nel nostro caso equivale a uno sguardo agli albori del Sistema solare», spiega Melosh. «Ciò che abbiamo riscontrato è che il modello basato sugli impatti descrive assai bene ciò che sappiamo di questo materiale unico e del Sistema solare primordiale. Dunque, al contrario di quello che ritiene la maggior parte degli esperti di meteoriti, gli asteroidi non sono i resti del materiale dal quale hanno preso forma i pianeti, e i grumi di condrule non sono a loro volta prerequisiti per un pianeta».

Una conclusione, questa, che andrebbe a intaccare non poco il ruolo fino a oggi ricoperto dalle meteoriti nello studio della formazione planetaria. «Le condriti sono state ritenute a lungo un materiale simile a quello che ha dato origine ai pianeti. Quel che emerge dal nostro studio è invece che le condrule potrebbero non essere altro che un sottoprodotto degli impatti fra oggetti di una generazione precedente», osserva infatti David Minton, della Purdue University, fra i coautori dell’articolo, «e le meteoriti potrebbero dunque non essere così rappresentative del materiale dal quale si sono formati i pianeti».

Il prossimo passo, dice Minton, sarà ora quello di studiare in che modo questo processo di formazione delle condrule potrebbe eventualmente trovare posto in un nuovo modello di formazione planetaria: quello noto come pebble accretion, in cui un ruolo cruciale è giocato dal gas sottratto alla nebulosa protoplanetaria.

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