Mentre l’Homo Sapiens iniziava a migrare dal continente africano, una stella sorvolava a bassa quota il Sistema Solare. In un articolo pubblicato su Astrophysical Journal Letters un gruppo di astronomi provenienti da Stati Uniti, Europa, Cile e Sud Africa ha infatti determinato che circa 70.000 anni fa la cosiddetta stella di Scholz, un debole astro scoperto solo di recente, è molto probabilmente transitata attraverso la Nube di Oort, la remotissima fascia sferica di comete che circonda il Sistema Solare. Nessun altra stella è nota per avere mai avvicinato il nostro sistema in questo modo, cinque volte più vicino di quanto lo sia la stella attualmente più prossima, Proxima Centauri.
Le stelle che hanno “fatto il pelo” al Sistema Solare sono in realtà sono due. I ricercatori hanno infatti analizzato la velocità e la traiettoria di un sistema binario costituito da una piccola nana rossa, con massa equivalente a circa l’8% di quella del Sole, e una compagna nana bruna ancora più leggera, di massa troppo piccola per fondere l’idrogeno nel nucleo e accendersi come una vera e propria stella. La designazione formale della stella è J072003.20-084651.2 WISE, ma è stata soprannominata stella di Scholz per onorare l’astronomo tedesco Ralf-Dieter Scholz che la svelò a fine 2013.
La sua traiettoria indica che la stella di Scholz 70.000 anni fa passò a circa 52.000 unità astronomiche di distanza da noi, ovvero più o meno 0,8 anni luce o 8.000 miliardi di chilometri. Un tiro di schioppo, in termini astronomici, considerando che Proxima Centauri si trova a 4,2 anni luce. Gli astronomi spiegano che con ogni probabilità la stella è passata attraverso la parte più esterna della Nube di Oort, ovvero di quella regione alle estreme propaggini del Sistema Solare in cui si pensano pullulare placide miliardi di comete, in attesa che una qualche perturbazione le scaraventi a precipizio verso la gravità solare.
Eric Mamajek dell’Università di Rochester e Valentin D. Ivanov dell’ESO (European Southern Observatory), due autori della ricerca, si sono interessati alla stella perché sembrava muoversi molto lentamente nonostante fosse relativamente vicina, a circa 20 anni luce. “La maggior parte delle stelle in questa zona mostrano un moto tangenziale molto più grande – spiega Mamajek. Il basso moto tangenziale e la vicinanza lasciavano presumere o che la stella si stava dirigendo direttamente verso il Sistema Solare, oppure che aveva avuto un ‘recente’ incontro ravvicinato e ora si stava allontanando. Le misure di velocità radiale erano più coerenti con la seconda ipotesi, che stesse allontanandosi dal Sole. Dunque, ci siamo resi conto che doveva aver compiuto un passaggio ravvicinato non troppo tempo fa”.
Per ricavare la traiettoria della stella, agli astronomi erano necessari due diverse informazioni, la velocità tangenziale e la velocità radiale, che sono state ottenute da Ivanov e collaboratori mediante osservazioni con gli spettrografi montati sui grandi telescopi Southern African Large Telescope (SALT), in Sud Africa, e Magellan, a Las Campanas in Cile. Da questi dati si è potuto stabilire che la stella di Scholz si sta allontanando dal nostro Sistema Solare dopo averlo visitato molto da vicino circa 70.000 anni fa.
Il gruppetto guidato da Mamajek non si è accontentato di stabilire un nuovo record per quanto riguarda le stelle che si avvicinano alla nostra, ma ha preso l’occasione anche per demolire quello precedente, appartenente alla cosiddetta “stella canaglia” HIP 85.605. Finora si prevedeva che HIP 85.605 si sarebbe avvicinata al Sistema Solare in un periodo compreso tra 240.000 e 470.000 anni da adesso. Tuttavia, il nuovo studio indica come la distanza originale di HIP 85605 sia stata probabilmente sottostimata di un fattore dieci, il che non la condurrebbe neanche a sfiorare la Nube di Oort.
Il passaggio ravvicinato della stella di Scholz, dicono i ricercatori, probabilmente non ha indotto particolari perturbazioni nella Nube di Oort, senza scatenare una “pioggia di comete”. Mamajek ci tiene però a sottolineare che “altri perturbatori dinamicamente importanti possono essere in agguato tra stelle vicine” e ricorda come con la missione spaziale europea Gaia, lanciata di recente, si preveda di tracciare le distanze e misurare le velocità di un miliardo di stelle. Con i dati di Gaia, gli astronomi saranno in grado di dire se e quali altre stelle possono avere avuto un incontro ravvicinato con noi nel passato, oppure lo avranno in un lontano futuro.
Attualmente, la stella di Scholz è una piccola, debole, nana rossa nella costellazione dell’Unicorno, a circa 20 anni luce di distanza. Se torniamo indietro di 70.000 anni e proviamo a immaginarla nel punto più vicino del suo volo radente sul sistema solare, sarebbe una stella di decima magnitudine, circa 50 volte più debole di quanto necessario per distinguerla a occhio nudo, pur nella perfetta tenebra notturna della preistoria. Tuttavia la stella è magneticamente attiva, il che può causare dei brillamenti che occasionalmente la rendono migliaia di volte più luminosa. E’ quindi possibile, in linea teorica, che la stella di Scholz sia stata visibile ad occhio nudo dai nostri antenati di 70.000 anni fa, durante le poche ore – o minuti – in cui durano i rari brillamenti. Statisticamente poco probabile, ma non per questo meno suggestivo.