«Se vi è una magia su questo pianeta, è contenuta nell’acqua»”, diceva l’antropologo e filosofo americano Loren Eiseley. Ed così, ma il mistero è da dove proviene tutta quest’acqua che ci ha donato la vita. Per molti la risposta si troverebbe nelle comete che girano indisturbate nel Sistema solare e oltre. Per questo 11 anni fa (il 2 marzo 2004) è stata lanciata in orbita la sonda dell’ESA Rosetta, diretta verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, che ha raggiunto nell’estate del 2014 riuscendo anche a sganciare il piccolo lander Philae (che da poco ha ricominciato a comunicare con la Terra).
Utilizzando la camera OSIRIS (Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System) costruita in parte in Italia (dall’Università di Padova) e montata su Rosetta, gli esperti hanno identificato più di un centinaio di zone ghiacciate, ognuna grande qualche metro. Un nuovo studio (pubblicato su Astronomy & Astrophysics) ha preso in analisi proprio queste zone particolarmente luminose sulla superficie di 67P. Si tratta di acqua, anche se ghiacciata!
Basandosi sulle osservazioni dei gas che “fuggono” dalle comete (soprattutto quando queste si avvicinano al Sole e l’attività è più frenetica), per gli astrofisici è ormai chiaro che questi oggetti siano ricchi di ghiaccio. Avvicinandosi alla nostra stella madre (perielio), la superficie si riscalda e il ghiaccio sublima trasformandosi in gas, trascinando le particelle di polvere lontano dalla cometa e formando la chioma e la coda. Parte della polvere, però, rimane sulla cometa o ricade in altre zone sempre sulla superficie lasciando sole piccole zone di ghiaccio esposte e quindi visibili dalla sonda. Il resto della cometa è scuro, perché ricoperto da polvere.
Grazie all’array di strumenti a bordo, soprattutto quelli remote sensing (ALICE -lo spettrografo ultravioletto, OSIRIS, VIRTIS – Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer – strumento italiano sotto la responsabilità dell’INAF, e MIRO – Microwave Instrument for the Rosetta Orbiter), Rosetta ha potuto rilevare diversi tipi di gas sprigionati dalla cometa, soprattutto vapore acqueo, anidride carbonica e monossido di carbonio, che si pensa provengano – appunto – dal ghiaccio su 67P. E proprio OSIRIS ha individuato e fotografato ben 120 “chiazze” di ghiaccio, dieci volte più luminose rispetto al resto della superficie.
Alcune di queste sono isolate, altre formano dei gruppi di macchie ghiacciate. Gli elementi più luminosi si trovano sulla superficie di massi grandi poche decine di metri, localizzati tipicamente alla base dei pendii. Si tratta probabilmente del risultato di una recente erosione o del crollo di qualche scogliera che ha esposto materiale fresco sotto la superficie impolverata. Al contrario, parte delle zone ghiacciate isolatesembrano non avere alcuna relazione con il terreno circostante. Tutte le 120 zone studiate si trovano in aree che ricevono poca luce solare (si trovano spesso all’ombra di alti pendii) e in un mese di osservazione sono stati rilevati solo piccoli, anzi insignificanti, cambiamenti nella loro forma.
Antoine Pommerol, dell’Università di Berna e autore principale dello studio, ha spiegato: «Al tempo delle nostre osservazioni, la cometa era abbastanza lontana dal Sole e quindi la velocità a cui il ghiaccio sublimava era stato inferiore a 1 mm per ora. Al contrario, se l’anidride carbonica o il monossido di carbonio del ghiaccio fossero stati esposti, sarebbero sublimati se illuminati dalla stessa quantità di luce solare. Per questo non ci saremmo aspettati di osservare una quantità di ghiaccio stabile sulla superficie in questo momento».
Per ampliare i risultati, il team di ricercatori ha anche effettuato degli esperimenti in laboratorio, testando il comportamento dell’acqua ghiacciata mischiata con diversi minerali sotto l’effetto di una luce solare “sintetica”. Facendo questo, hanno scoperto che dopo poche ore di sublimazione si forma un sottile strato (pochi millimetri) di materiale scuro, che copre- in alcuni casi – il ghiaccio sottostante. Solo occasionalmente pezzi di mantello vengono espulsi dalla superficie rivelando zone di ghiaccio al di sotto. Pensate che basta 1 millimetro di polvere per oscurare il ghiaccio sottostante.
Quando si sono formate queste aree ghiacciate? Gli esperti ipotizzano che la loro formazione risale all’ultimo avvicinamento al Sole, cioè circa 6 anni e mezzo fa: diversi eventi drammatici sulla superficie della cometa hanno esposto zone ghiacciate lasciandole all’ombra per tutto questo tempo, preservandole, quindi, dalla sublimazione.
«Con l’avvicinarsi al perielio aumenta l’illuminazione solare sulle zone ghiacciate, che una volta erano all’ombra. Questo potrebbe causare cambiamenti nel loro aspetto esteriore. Ci aspettiamo di osservare nuove regioni di ghiaccio, anche più grandi di quelle classificate finora», ha spiegato Matt Taylor, project scientist di Rosetta. «Unendo le osservazioni effettuate con OSIRIS prima e dopo il passaggio al perielio con i dati degli altri strumenti, capiremo cosa provoca la formazione e l’evoluzione di queste regioni».
Come detto, la sonda Rosetta e la cometa 67P passeranno vicino al Sole ad agosto. L’attività che questo evento causerà sulla superficie della cometa, obbligherà i tecnici dell’ESA a tenere la sonda a una distanza di sicurezza, il che non permetterà di effettuare osservazioni utili per qualche tempo. Al momento dell’allontanamento, però, Rosetta potrà tornare vicino alla superficie confrontando le immagini scattate in passato con quelle che potrà inviare a terra da settembre in poi. Di fondamentale importanza (semmai arriveranno, ma siamo fiduciosi) saranno anche i dati di Philae. Di entrambi sentiremo parlare a lungo, visto che la missione (il cui termine era stato fissato per fine 2015) è stata prolungata fino alla fine di settembre 2016, come deciso dal Comitato per i programmi scientifici dell’Agenzia Spaziale Europea. Taylor ha commentato entusiasta: «E’ una notizia fantastica per noi che ci occupiamo di scienza. Saremo in grado di monitorare il declino dell’attività cometaria dopo il perielio e avremo l’opportunità di volare più vicino alla cometa continuando a raccogliere dati importanti».