La peste nell’immaginario collettivo è l’icona di tutte le malattie epidemiche. Non a caso il termine “pestilenza” ormai viene usato colloquialmente per indicare qualsiasi malattia infettiva in grado di diffondersi rapidamente. La peste propriamente detta è l’infezione causata dal batterio Yersinia pestis, isolato durante l’epidemia di Hong Kong del 1894 dai microbiologi Alexandre Yersin e Shibasaburo Kitasato.
Lo racconta bene Giovanni Maga sull’Agi.it: si tratta di un microbo che viene solo occasionalmente trasmesso all’uomo, attraverso la puntura delle zecche che si nutrono sia del sangue umano che degli animali che ospitano normalmente il batterio, rappresentati da diverse specie di roditori, tra cui i ratti. E proprio questi animali, che spesso hanno un habitat urbano, sono stati storicamente la fonte principale dell’infezione occasionale dell’uomo, che ha portato a tre grandi pandemie, di cui la più importante (e terribile) è stata sicuramente la famigerata Peste Nera, che ha devastato l’Europa tra il 1357 e il 1352.
A quella epidemia, che si stima abbia ucciso un terzo della popolazione Europea, sono seguiti altri eventi epidemici in Europa fino al XVIII secolo, come la peste di Milano del 1630 descritta ne I Promessi Sposi. La Peste Nera ha avuto conseguenze economiche e politiche di straordinaria importanza e per questo è stata oggetto di numerosi studi.
Ma da dove è arrivata? E soprattutto, le successive epidemie sono un’indicazione che anche in Europa si erano stabiliti dei serbatoi naturali in grado di mantenere il batterio in circolazione? Quest’ultima domanda ha una grande rilevanza anche per noi. Oggi infatti la peste è endemica in alcune zone dell’Asia, dell’India e dell’America Latina, dove negli ultimi dieci anni diverse centinaia di persone sono state colpite dall’infezione, ma il batterio non sembra circolare nelle popolazioni di roditori europei. Se però questo fosse accaduto in passato, ci sarebbe il rischio che un simile evento possa verificarsi nuovamente.
A questa (e altre) domande, si propone di dare risposta il Consorzio internazionale MedPlag, cui partecipa anche l’Università di Ferrara. In un lavoro appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences USA, i ricercatori hanno isolato il DNA di Y.pestis dai denti di antiche vittime della Peste in diverse epoche in Italia, Francia, Olanda e Norvegia. Hanno poi sequenziato porzioni del genoma batterico e le hanno confrontate con quelle di altri isolati antichi disponibili, ottenendo così una fotografia dell’evoluzione del batterio nel corso dei secoli.
Dopo aver ottenuto una precisa successione cronologica degli eventi epidemici rappresentati dai diversi campioni, che andavano dal XIV al XVIII secolo, anche grazie all’uso di fonti archeologiche e documentali, i ricercatori hanno poi preso in esame diverse possibili vie di trasmissione e sono arrivati a proporre un’affascinante, quanto convincente ipotesi: la peste è arrivata in Europa in ondate successive dall’esterno, in particolare seguendo le rotte del commercio di pelli. L’origine sarebbe la regione detta “Terra delle Tenebre”, sul fiume Kama, affluente del Volga nella Russia orientale e centro importantissimo di produzione ed esportazione delle pelli, oltre che area endemica per Y.pestis.
Nel Medio Evo, diverse rotte commerciali, sia via terra che via mare, collegavano questa zona con i principali porti del Medio Oriente, del Mar Nero e dell’Europa, rappresentando facili corridoi attraverso cui i ratti infetti che viaggiavano insieme alle merci, potevano portare il batterio in Europa. Dunque, sembra che non siano esistiti neppure in passato serbatoi naturali di Y.pestis in Europa.
Una notizia tranquillizzante, ma anche una lezione importante: infatti ancora oggi le vie attraverso cui numerosi patogeni passano occasionalmente dagli animali all’uomo, causando epidemie di zoonosi, sono legate alle diverse attività commerciali, agricole e industriali umane. Comprendere sempre meglio come le modificazioni dell’habitat naturale di specie selvatiche da parte dell’uomo possano favorire l’emergere di nuove epidemie, deve servire a rendere più consapevole il nostro rapporto con l’ambiente.