Nessuna paura ma la situazione è seria: oggi nei focolai in Veneto e Lombardia la diffusione dei contagi è simile a quella della provincia cinese dell’Hubei, dove è scoppiata l’epidemia. Basta vedere i casi gravi e sintomatici e la situazione non cambia molto. Ma c’è una differenza: la popolazione dei focolai italiani è molto più anziana rispetto a quella di Wuhan e per questo abbiamo molti decessi. Non perché da noi il virus è più aggressivo, ma perché colpisce zone con una popolazione più fragile mentre quella cinese è più giovane. Ora il problema è capire se l’assistenza a queste persone è all’altezza. Gli ospedali si stanno attrezzando?”.
A parlare è l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, professore ordinario di Igiene dell’università di Pisa.
Secondo Lopalco “per far fronte a questo aumento di malati, in particolare con gravi problemi respiratori, andrebbe riorganizzato il sistema in funzione dell’epidemia in corso – suggerisce l’epidemiologo – Magari anche pensando a trasformare i piccoli ospedali di provincia, in Veneto e Lombardia, in strutture dedicate solo a chi è positivo al virus. Servirebbero i Piani di preparazione pandemica che però sono rimasti nel cassetto”. La colpa? “Beh – chiosa Lopalco – forse il regionalismo sanitario non aiuta”.
A far discutere in Italia è anche la scelta di cambiare le modalità di calcolo dei casi. Secondo le linee guida dell’Oms la definizione di caso confermato durante un’epidemia è quella di “una persona con conferma di laboratorio di infezione, a prescindere dalla presenza di segni e sintomi clinici”, ricorda Lopalco.
“Nella prima fase dell’epidemia in Lombardia e Veneto occorreva ricostruire la catena di contagio e quindi era giusto fare il tampone a tutti i casi sospetti, ora è giusto fare un cambio di passo nel conteggio e andare a confermare gli asintomatici”. Nessuno polemica quindi con la scelta della task force e dell’Iss.
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