I credenti la vedono in un modo ma gli studiosi da un altro: “E’ chiaro che è difficile, per la sensibilità di molti, mettere le chiese allo stesso livello dei cinema piuttosto che dei teatri o degli altri locali chiusi dove si affollano numerose persone”.
Ed è vero anche che “ci sono le cattedrali enormi, le chiesette piccole e ogni genere di realtà. Però, di fatto, dove si raggruppano più persone il rischio di contagio c’è”.
L’infettivologo Massimo Galli, docente all’università Statale di Milano e primario all’ospedale Sacco, è intervenuto così sul ‘nodo chiese chiuse’, oggetto di polemica in queste ore dopo l’annuncio del premier Giuseppe Conte sulle misure della fase 2 della crisi coronavirus.
Galli parla da laico, tuttavia nonostante “la mia notoria laicità” tiene a precisare di comprendere “i diritti e i bisogni” di chi crede. Ma in questo momento “la questione da considerare non è di tipo religioso, bensì di analogia tipologica”.
Nelle realtà in cui “si può venire a costituire un assembramento di persone che comunque fanno fatica a mantenere le distanze, se non sono legate a un’attività produttiva essenziale la scelta non può che essere dolorosamente quella”: aspettare a riaprire. “In un momento come questo – conclude lo specialista – tocca tenere conto delle priorità”.