Silvestri: "Meglio gli epidemiologi che ci spiegano il presente e non predicono il futuro"
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Silvestri: "Meglio gli epidemiologi che ci spiegano il presente e non predicono il futuro"

Le pillole di ottimismo del professor Silvestri, direttore del dipartimento di Patologia della Emory University

Guido Silvestri, direttore del dipartimento di Patologia della Emory University
Guido Silvestri, direttore del dipartimento di Patologia della Emory University
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9 Maggio 2020 - 09.53


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Un brano del professor Silvestri, direttore del dipartimento di Patologia della Emory University dalla rubrica ‘Pillole di ottimismo’ curata per MedicalFacts.

Chi segue questa pagina avrà capito che guardo con sospetto a molti dei modelli che elaborano alcuni epidemiologi per predire il futuro della pandemia. Intendiamoci: io ho il massimo rispetto per l’epidemiologia – ma la preferisco quando ci spiega il presente a quando cerca di prevedere il futuro. Soprattutto non mi convincono le previsioni (e, soprattutto, le previsioni funeste) fatte senza rendere conto di quanto sia alta la possibilità di eventi che cambiano improvvisamente le carte in tavola. Nel caso di SARS-CoV-2 e di Covid-19, ce ne sono diversi di questi eventi, che non sono affatto da escludere, anzi, alcuni sono possibilissimi.
Per esempio, il virus potrebbe andare incontro a una riduzione notevole della sua capacità di causare malattia – di recente ne hanno parlato diversi colleghi e alcuni sembrano convinti che questo si stia già verificando. Oppure si potrebbero trovare terapie efficaci più rapidamente del previsto (per esempio, una combinazione di antivirali e immunomodulatori, oppure un anticorpo monoclonale neutralizzante, oppure ancora lo scale-up della terapia con plasma convalescente). Un’altra possibilità da non escludere è che uno dei vaccini più promettenti tra quelli che stiamo testando faccia il classico gol con un tiro al volo da trenta metri (per non parlare, ovviamente, della assoluta impossibilità di immaginare quello che succede nella testa dei politici che prendono decisioni in materia sanitaria…).
Per questo le previsioni dei modelli matematici mi lasciano abbastanza perplesso. Le vedo di due categorie. La prima è quella degli “educated wild guess” (i.e., tirare a indovinare), di cui era maestro Neil “Casanova” Ferguson – la cui capacità di intuire il futuro si è rivelata, alla prova dei fatti, piuttosto limitata. La seconda categoria di previsioni, di cui Mike Osterholm è campione indiscusso, mi ricorda mio zio buonanima, che quando giocava la Nazionale diceva a me che vincevamo, a mio padre che si perdeva, e con la moglie pronosticava il pareggio. Così aveva sempre ragione (ma, ahimè, aveva anche sempre torto). Diciamolo: l’Oracolo di Delfi con certa gente non ci avrebbe preso neanche un caffè.
Scherzi a parte, sono abbastanza vecchio da aver visto nella mia vita diverse epidemie e pandemie venire e andare (AIDS, Lyme, Ebola, West Nile, monkey-pox, SARS-1, aviaria, Nepah, MERS, hantavirus, Zika, morbillo…), e da ricordarmi che di previsioni azzeccate sul futuro di una epidemia ne ho viste fare molto poche. E ho anche buona memoria da non aver dimenticato come l’uso copioso di lettere greche e complesse equazioni matematiche non abbia quasi mai previsto quei “game changers” che hanno cambiato in modo drammatico l’andamento di una epidemia. D’altronde l’aveva già detto il grande Yogi Berra: non c’è niente così difficile da prevedere come il futuro.

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