Se ne è parlato molto anche perché qualcuno ha scelto di sponsorizzare politicamente la vicenda, come se la scienza avesse bisogno del sostegno social per la validazione di un metodo piuttosto che di un altro.
“I malati arrivavano a centinaia, tutti insieme, in ospedale. Gravissimi. Il tasso di mortalità era pazzesco: uno ogni sei di chi entra in Rianimazione non ce la faceva”.
Racconta così, al Corriere della Sera il “virologo da laboratorio” Fausto Baldanti come è stata concepita l’idea di utilizzare il plasma per curare i malati di coronavirus.
“Era il 29 febbraio – racconta Baldanti -, ci troviamo in laboratorio io e l’infettivologo Raffaele Bruno e ci guardiamo in faccia: ‘Adesso come li curiamo i malati?’. Ai tempi non c’è nessuna terapia certa. Il tentativo è di provare l’efficacia dei farmaci contro l’Hiv con gli antinfiammatori. Sappiamo che una terapia simile è già stata utilizzata per l’Ebola e la Sars e uno dei due propone: ‘Ma se provassimo con il plasma dei convalescenti?'”.
“Decidiamo di far espandere il virus in provetta – continua il virologo – per avere delle dosi uguali da utilizzare come bersaglio del siero dei pazienti ricoverati, il primo test è del 10 marzo. I risultati arrivano a breve: più il livello di anticorpi neutralizzanti, quelli sviluppati dai pazienti che hanno avuto il virus, è alto, più la malattia di chi è ancora malato regredisce”.
A due mesi di distanza, conclude Baldanti, “abbiamo presentato l’ormai noto studio pilota, ossia quello che si effettua per testare un’idea. Sono stati arruolati 46 pazienti tra Pavia, Mantova e uno a Novara. La mortalità è passata a 1 ogni 16 pazienti. Sono migliorati gli indici infiammatori e i parametri dell’ossigenazione. Il nostro protocollo è richiesto da tutto il mondo. Ora servono donatori”.
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