I numeri sono in crescita, ci sono molti timori e molta incertezza? Quanto incerta è oggi la situazione a suo avviso ?
I casi attuali sono molto molto più bassi di quelli di febbraio e marzo, siamo in una situazione ancora sotto controllo. Il problema è come controlliamo. Se non aumentiamo la quantità di tamponi non si controlla la situazione.
La possibilità di fare più tamponi la vede realistica o ancora problematica?
Io la vedo realistica, è solo un problema di investimenti e di volontà politica.
Voi a Padova fate i reagenti in modo economico, il tutto per un costo di circa 2,5 euro a tampone, e pronti al bisogno.
Sì, noi non abbiamo mai avuto problemi di né di reagenti né di tamponi.
Ed è esportabile quello che fate voi, la vostra modalità?
Noi abbiamo proposto di esportarla.
Ora ci sono anche i tamponi rapidi che hanno vantaggi e svantaggi. Hanno il vantaggio che possono essere fatti in strutture che non hanno una grande capacità di indagine e di laboratorio, hanno il problema che hanno una sensibilità ridotta, purtroppo. Nel senso che i positivi medio bassi non vengono intercettati. Uno potrebbe dire: “se una persona è un positivo medio-basso, non pone problemi”. Questo non è vero perché anche una persona che magari poi sviluppa una malattia gravissima, nei primi giorni può essere un positivo medio-basso. La carica virale non aumenta improvvisamente, da un giorno all’altro, ci mette dei giorni, quindi dipende dal tempo che intercorre dal momento del contagio al momento del test. Magari uno fa il test il giorno dopo essere stato contagiato e ha la carica medio bassa, in quel caso il test rapido lo identifica come negativo. Quindi questo tipo di tamponi sono utili ma non sono la soluzione.
Cosa giustifica il loro utilizzo?
Sono giustificati in situazioni di estremo sovraccarico, o per situazioni remote in cui non c’è accesso ad una strumentazione adeguata.
Rispetto ai test sierologici hanno ancora una loro validità oggi?
Guardi, i test sierologici sono da dimenticare in questa fase.
Perché?
Perché il test sierologico non va bene per la sorveglianza attiva. Perché sono test che individuano se una persona è entrata in contatto con il virus 10 giorni prima o più. E la stessa persona potrebbe essere negativa al sierologico e positiva al tampone. Sono da dimenticare. Sono uno strumento sbagliato in questo momento.
L’unico vero contributo dei sierologici è stato quello dell’indagine Istat che ci hanno permesso di capire quante persone si erano infettate.
Rispetto alle scuole c’è molto dibattito sulla mascherina, sì- no?
Io penso che per i bambini al di sotto dei 10 anni si deve accettare la situazione per quella che è.
In una precedente intervista a questo giornale diceva che sembrava che i bambini tra i 3 e i 10 anni non si infettassero. Cos’è cambiato? Ci sono dei casi che prima non c’erano?
No. I bambini si infettano molto meno degli adulti, su questo non ci sono dubbi.
Non sappiamo, però, qual è la loro capacità di trasmissione. Non sappiamo se un bambino infetto è in grado di infettare i genitori o addirittura i nonni. Magari si infetta, sviluppa una forma lievissima ma non sappiamo la sua capacità di infettare altri. Questo non lo sappiamo.
Perché si infettano molto meno? Sono stati fatti troppo pochi test per capire?
Non si sa.
Questo porterebbe ad avere un po’ più di tranquillità rispetto alle scuole?
Il problema è che non si sa. Entriamo in un’area di “terra incognita” come si dice. Non si sa proprio.
Quindi il principio di precauzione è quello che vale?
Esatto.
Cosa sarebbe importante conoscere, cosa dovremmo capire come opinione pubblica? anche rispetto ai tempi della scienza? Anche rispetto al vaccino?
Il vaccino non c’è e rispetto alla terapia si sono fatti dei limitati passi avanti. Quindi l’unico strumento che noi abbiamo è quello della sorveglianza attiva e dei comportamenti individuali. Non abbiamo altre possibilità in questo momento.
Lei ha invitato a una certa cautela sulla rapidità con cui si può avere un vaccino, perché?
Perché lo sviluppo di un vaccino ha dei tempo incomprimibili. Si possono ridurre prendendo delle scorciatoie a discapito dell’efficacia e della sicurezza, non c’è dubbio.
Sono raccontabili questi tempi?
Nella fase 3, che è la fase della valutazione della sicurezza di un vaccino, si deve verificare che un vaccino non abbia effetti collaterali indipendentemente dall’età, dal sesso, dall’etnia e da condizioni patologiche sottostanti. In genere questa fase prevede lo studio su circa 100 mila persone, che devono essere studiate in modo esaustivo, costa decine e decine di milioni di euro, e ci vogliono in genere 2-3 anni per arrivare a questa fase.
Qualche giorno fa ha presentato un piano tamponi al governo, si è avviata una qualche interlocuzione in proposito?
Penso che sia troppo presto per fare qualsiasi commento su questa cosa. Lasciamogli digerire questa proposto poi vediamo cosa succederà.
Come gestire a livello territoriale una situazione di aumento rapido di contagi? A suo conoscenza ci sono piani in questo senso? Quali sono i principali errori da evitare oggi?
Io sono abbastanza soddisfatto di come viene aggredita e gestita la situazione in questo momento. con questa capacità di fare i tamponi, non si può fare di più.
Lei auspica un piano nazionale non regionale perché?
Sì, questo sì. Perché per esempio la Campania, che ha lo stesso numero di abitanti del Veneto, ne fa la metà del Veneto e questo non va bene, perché potrebbe essere che questa minore capacità nasconde una trasmissione del virus di cui non riusciamo a renderci conto. Questo vale anche per altre regioni.
A suo avviso dovrebbe esserci anche un piano internazionale? Perché le nazioni che hanno un alto numero di contagi rischiano di mettere in pericolo la salute di tutti.
Penso che ogni paese sta facendo a modo suo e non credo che che sia possibile nemmeno ipotizzare una risposta unitaria. Addirittura le nostre regioni, appunto, fanno per conto loro, si figuri tra Stati.
Questo per ragioni politiche, ma quanto importante sarebbe dal punto di vista scientifico attuare una strategia comune?
Penso che finché non si sviluppa un vaccino non si potrà mai arrivare ad una strategia comune.
L’Italia viene spesso citata come esempio virtuoso di gestione della pandemia , concorda?
Se lo dicono all’estero perché contraddirli.
A Roma ieri in centinaia sono scesi in piazza a dire che la mascherina è una museruola. Cosa direbbe loro?
Che dire, rispetto la loro opinione ma dissento profondamente. Che vuole che dica.
Rispetto alla comunità internazionale c’è un tavolo di discussione aperto, c’è un lavoro comune?
Ci sono migliaia di scienziati che lavorano su questo argomento. C’è lo scambio che sempre c’è in questi casi.
Guardando alla situazione in cui si sta facendo il massimo lei si sente abbastanza tranquillo?
Se mi sentissi tranquillo non avrei chiesto di fare più tamponi.
Ci sono le votazioni imminenti. Sono rischiose a suo avviso?
Le votazioni sono una possibilità di diffusione del contagio come è testimoniato dalla storia della Francia. Speriamo bene. Speriamo che vengano messe in atto davvero tutte le misure di controllo.
Anche ieri il Presidente Conte ha ribadito che non ci sarà un nuovo lockdown. Possiamo solo sperare che non ci sarà o possiamo anche ipotizzarlo, a suo avviso?
Dobbiamo tutti auspicarcelo ma non basta, evitarlo o meno sarà il risultato del comportamento individuale e della capacità del sistema sanitario di rispondere.
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