Secondo uno studio britannico condotto su cento operatori sanitari non ospedalizzati tra marzo e aprile, le cellule T del sistema immunitario “ricordano” il Covid a 6 mesi dalla prima infezione.
I dati studiati offrono un altro pezzo del puzzle per capire se e per quanto tempo possa essere prevenuta la reinfezione da Sars-Cov-2 e quanto duri la cosiddetta immunità.
Le cellule T o linfociti T sono un gruppo di leucociti appartenenti alla famiglia dei linfociti e svolgono un ruolo centrale nella immunità cellulo-mediata.
Sono distinti dagli altri linfociti, quali i linfociti B e le cellule natural killer per la presenza di uno specifico recettore presente sulla loro superficie chiamato recettore delle cellule T (T cell receptor, TCR). Sono chiamati “T” poiché essi maturano nel timo, a partire dai timociti (sebbene alcuni possano anche maturare nelle tonsille). Queste cellule, secondo i ricercatori dello UK Coronavirus Immunology Consortium, attaccano il virus e sono in grado di “ricordarlo” per molto tempo.
La ricerca è la prima che analizza i livelli di cellule T dopo l’infezione in persone con sintomi lievi o asintomatiche. Dopo un periodo di osservazione lungo sei mesi, gli scienziati si sono resi conto che i livelli di cellule T erano il 50% più alti in persone che avevano sperimentato sintomi al momento dell’infezione.
Questo potrebbe significare che i pazienti con sintomi iniziali più forti potrebbero avere una protezione maggiore. Per averne certezza bisognerebbe proseguire lo studio e tracciare un numero più vasto di pazienti per un periodo più lungo.
In ogni caso, i dati sembrano essere interessanti: ”Penso siano incoraggianti, anche se non stanno a significare che le persone non possano reinfettarsi – spiega al Guardian Paul Moss, professore alla University of Birmingham e uno degli autori dello studio -. Ora abbiamo bisogno solo di uno studio su larga scala per capire come gli anticorpi e le cellule agiscano insieme per proteggere le persone nel corso del tempo”.
“Questi primi risultati dimostrano che la risposta delle cellule T dura più di quella degli anticorpi – aggiunge l’epidemiologo Shamez Ladhani, altro autore dello studio -. Questo potrebbe avere un impatto significativo sullo sviluppo di un vaccino”.
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