Tanti che rompono le scatole e non si fermano nemmeno di fronte a oltre 400 morti al giorno e se ne fregano di regole, distanze o altro, come se la pandemia fosse una invenzione.
“Credo che l’obiettivo di tutte le misure dell’ultimo Dpcm sia smettere di inseguire un virus che corre molto veloce. Oggi abbiamo numeri importanti e circa un 17% di positivi sul totale dei tamponi. Aumentano i casi, i ricoveri e i ricoveri in terapia intensiva. Incalzati da questi numeri giudico prudente la stretta. Ma se il lockdown nazionale deve essere l’ultima ratio, ritengo anche che sia corretto finché si può tentare di mitigare la situazione, frenando la corsa del virus ma tentando anche di preservare la vita e l’economia. Non sarà facilissimo riportare l’Rt a 1, ma dobbiamo pensare che i primi effetti di queste nuove misure li vedremo fra due settimane”.
Lo ha detto Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma.
“E’ importante aver adottato 21 criteri, anche molto concreti. Avremmo dovuto vedere il 9 novembre i risultati del Dpcm precedente, e a questo mi pare che non siano stati rilevanti. C’è da dire che questi tre colori che dividono l’Italia non sono intangibili: potranno esserci variazioni sulla base dei numeri. Quello che cambia – rileva Cauda – è l’approccio: proviamo ad anticipare le mosse del virus diventando cacciatori e non lepri”.
Cauda invita a non dimenticare la lezione che abbiamo imparato dal virus: “Ovvero quanto sia cruciale la medicina del territorio. Medici di famiglia e pediatri non devono essere lasciati soli: sono l’architrave di un sistema sanitario efficace e, se ormai è chiaro che occorre ripensare una sanità non più ospedalocentrica, non dimentichiamo di proteggere i nostri medici e operatori sanitari, che hanno pagato un tributo importante, assicurando loro dispositivi di protezione individuale anche per le future emergenze”.
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