L’arma della responsabilità sociale per sconfiggere il Covid negli ospedale e nell’economia
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L’arma della responsabilità sociale per sconfiggere il Covid negli ospedale e nell’economia

Ricordiamo che il milione di contagi attuali sono iniziati da una sola persona. Serve solidarietà sociale per supportare chi oltre al virus si trova ad affrontare la disoccupazione e la difficoltà a pagare le bollette

Coronavirus e povertà
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Chiara D'Ambros Modifica articolo

9 Novembre 2020 - 16.28


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Ieri sera in una trasmissione televisiva il viceministro Sileri irritato a tuonato che “siamo in guerra” e vanno fatto dei sacrifici. La metafora della guerra ricorreva già a marzo scorso e il suo utilizzo è stato da molti criticato, da tanti sfruttato. Viviamo continuamente all’interno di categorie del passato, in una grande difficoltà di affrontare il presente perchè in passato a questo presente non ci siamo preparati, non lo sappiamo affrontare n’è dal punto di vista organizzativo, n’è emotivo, e le due cose non possono essere dissociate.

Le scelte per tutti i governi del mondo sono difficili e drammatiche in questo momento ed è davvero difficile ascoltare le notizie di questi giorni nel nostro Paese. Focolai nelle RSA, medicina del territorio inefficiente, ospedali che rischiano il collasso, folle per strada.

Dall’inizio, da quando si è cominciato a spiegare cosa sia un’epidemia viene spiegato che l’epidemia si cura sul territorio, non negli ospedali. Quando arriva a riempire gli ospedali è già tardi. Eppure uno dei parametri importanti per valutare se una regione è zona rossa o meno è il numero di posti letto negli ospedali e il numero dei posti disponibili in terapia intensiva. Questo significa tollerare più malati con il rischio di avere più morti. Significa permettere che il virus circoli di più perchè posso “permettermi di curare più contagiati”, implica che si lascia l’epidemia dilagare. Il problema è, come denunciano i medici in questi giorni, che poi il fiume di malati raggiunge la piena e travolge tutto.

Siamo a novembre, abbiamo tutto l’inverno davanti e le strutture sono già quasi al collasso, i sanitari in difficoltà. Ma come possiamo pensare che le persone che lavorano in prima linea possano reggere mesi e mesi con queste pressione? E loro sono la nostra diga, ma se crolla?

Parlando di “loro” e alla metafora della guerra pur non condividendola n’è riconosco il valore evocativo. Si è spesso parlato dei medici come l’esercito in prima linea ecco questo forse è il più grande equivoco perchè se identifichiamo il virus come il nemico, non c’è una linea del fronte lontana da ognuno. Siamo tutti coinvolti. E’ per noi difficile comprenderlo, abituati a vivere in una società che ha marginalizzato la fragilità, rifiutato la vecchiaia, la morte, ha cercato in tutti i modi di estrometterla. Così ci troviamo in questa tragedia disarmati, privi di consapevolezza e molti continuano a rifiutare la presenza di questo virus, la sua drammaticità e persino i 425 morti di ieri sembrano non facciano più notizia.

I medici sono dei cittadini specializzati, attrezzati per fronteggiare delle zone critiche ma ognuno di noi è in prima linea, perchè un contagio in più ne può causare migliaia, non possiamo delegare questa responsabilità. Chi ci governa sarebbe utile ci facesse sentire parte di un progetto futuro a cui iniziare a collaborare sin da ora, senza una visione chiara non si capisce la direzione e non si può contribuire a tenere la rotta, non si sa per cosa lottare.

Ricordiamo che il milione di contagi attuali sono iniziati da una sola persona. C’è bisogno di solidarietà per sconfiggere il virus e non solo. Questo noi deve essere l’inizio di una solidarietà sociale per supportare chi oltre al virus si trova in prima linea ad affrontare il conto in rosso, la disoccupazione, la difficoltà a pagare le bollette. Chi ha di più non più far finta di niente. E’ necessaria una responsabilizzazione collettiva, fondamentale che la società si faccia adulta, che prenda atto della realtà pur dura, durissima nella quale ci troviamo. In modo che c’era prima del virus non solo non è più in questo momento ma non sarà più. Prima ci risvegliamo dall’incantesimo del passato e lo rincorriamo, prima iniziamo a ripensare ad un futuro, che sarà il nostro prossimo presente e non ci troveremo di nuovo impreparati. Se a marzo ci chiedevamo se saremmo usciti cambiati da tutto questo, ora è evidente che l’uscita è lontana e nel frattempo che ci piaccia o no molto cambierà nonostante la nostra volontà. Ora il punto è non se ma come affrontare il cambiamento a partire da oggi, da un atteggiamento di consapevolezza nei confronti del virus e della collettività.

Gramsci diceva “sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, sarebbe successo ciò che è successo?”

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