Arrivano le indicazioni del ministero della Salute sui farmaci da usare (o meno) in casa. Antibiotici, clorochina o idrossiclorochina, e combinazioni antivirali lopinavir/ritonavir, darunavir/ritonavir o cobicistat sono tra i “farmaci non raccomandati per il trattamento di Covid-19”, si legge nella circolare del ministero sulla gestione domiciliare dei pazienti positivi.
Il documento ricorda in una tabella le “raccomandazioni e decisioni Aifa sui farmaci Covid-19”. In base alle disposizioni dell’Agenzia italiana del farmaco, dunque, possono essere utilizzati antinfiammatori come paracetamolo o Fans in terapia sintomatica, nonché costicosteroidi ed eparine che vanno impiegati “solo in specifiche condizioni di malattia”.
Entrando nel dettaglio delle raccomandazioni, paracetamolo o Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) “possono essere utilizzati in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso. Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico”.
Per quanto riguarda i corticosteroidi, “non utilizzarli routinariamente”, si precisa. “L’uso dei corticosteroidi – si legge nella circolare ministeriale – è raccomandato nei soggetti con malattia Covid-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia”. Sull’eparina, “l’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto”.
“Non utilizzare antibiotici – proseguono le indicazioni – Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore”, oppure “ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica”, o infine “quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico”.
La circolare ministeriale raccomanda poi di “non utilizzare idrossiclorochina, la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti”. Secondo l’Aifa, infatti, “l’utilizzo di clorochina o idrossiclorochina non è raccomandato né allo scopo di prevenire né allo scopo di curare l’infezione” da Sars-CoV-2. “Numerosi studi clinici randomizzati ad oggi pubblicati concludono per un’inefficacia del farmaco a fronte di un aumento degli eventi avversi legati all’uso, seppur non gravi. Ciò rende negativo il rapporto fra i benefici e i rischi dell’uso di questo farmaco”. Ugualmente, per l’Aifa “l’utilizzo di lopinavir/ritonavir o darunavir/ritonavir o cobicistat non è raccomandato né allo scopo di prevenire né allo scopo di curare l’infezione. Gli studi clinici randomizzati ad oggi pubblicati concludono tutti per un’inefficacia di questi approcci farmacologici”.
Ancora: “Non somministrare farmaci mediante aerosol se” il paziente è “in isolamento con altri conviventi, per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente”. Il medico che assiste un malato Covid a domicilio, si legge ancora, deve seguire un approccio di “vigile attesa”, con “misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria” (saturimetro). Vanno inoltre garantite “appropriate idratazione e nutrizione”.
“Non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (ad esempio terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti) – avverte la circolare – in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti”. Anche “i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido, piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso, a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante”.
I pazienti Covid “a basso rischio” che possono essere curati a casa dai medici di famiglia – secondo la circolare del ministero appena inviata ai medici – devono rispondere a precisi criteri. Ovvero, l’assenza “di fattori di rischio aumentato come patologie tumorali o immunodepressione” e avere le seguenti caratteristiche: “Sintomatologia simil-influenzale (ad esempio rinite, tosse senza difficoltà respiratoria, mialgie, cefalea); assenza di dispnea e tachipnea; febbre a 38° o inferiore da meno di 72 ore; sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione e/o plurime scariche diarroiche); astenia, ageusia disgeusia, anosmia”.
Il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta assiste il paziente con sintomatologia lieve “coadiuvato da un membro della famiglia. Una valutazione del contesto sociale (condizioni domiciliari generali, presenza di caregiver) deve, pertanto, essere parte essenziale dell’iniziale valutazione”, si legge nella circolare. Inoltre, “i pazienti e i membri della famiglia dovranno essere educati in merito all’igiene personale, alle misure di prevenzione e controllo delle infezioni, e a come correttamente approcciare una persona con infezione da Sars-CoV-2 in modo da evitare la diffusione dell’infezione ai contatti”. Il medico di famiglia o il pediatra “deve anche rilevare la presenza di eventuali fattori che possano rendere il paziente più a rischio di deterioramento e, in particolare, è fondamentale considerare e documentare la presenza di comorbosità”.
La circolare, inoltre, indica sul piano tecnico che, “per rendere omogenea e confrontabile la valutazione iniziale del paziente è, importante utilizzare uno score che tenga conto della valutazione di diversi parametri vitali. Uno degli score utilizzabili, anche al fine di adottare un comune linguaggio a livello nazionale, è il Modified Early Warning Score, il quale ha il pregio di quantificare la gravità del quadro clinico osservato e la sua evoluzione, pur dovendosi tenere in conto eventuali limiti legati, per esempio, alla valutazione dello stato di coscienza in soggetti con preesistente deterioramento neurologico”. Nel documento si sottolinea che, “per ridurre la pressione sulle strutture di Pronto soccorso e poter mantenere negli ospedali tutte le attività ordinarie, è opportuno che il personale delle Usca”, Unità speciali di continuità assistenziale, “operi in stretta collaborazione fornendo supporto ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta”.
Trasmessa oggi, 1 dicembre, ai medici e ai professionisti sanitari interessati, oltre che alle istituzioni di riferimento, la circolare del ministero della Salute sulla ‘Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2’ è redatta “al fine di fornire indicazioni operative tenuto conto dell’attuale evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale”. Il documento è firmato dal direttore generale Prevenzione del ministero, Giovanni Rezza, e dal direttore generale Programmazione sanitaria, Andrea Urbani.
Il testo dà indicazioni sia sul tipo di pazienti Covid-positivi che possono essere assistiti a casa da medici di famiglia e pediatri di libera scelta, sia sugli strumenti e i farmaci che possono essere utilizzati. Con la circolare si danno indicazioni a livello nazionale, superando quelle che alcuni Ordini territoriali dei medici avevano già messo a punto e diffuso.
La circolare sottolinea che, “anche in occasione di questa seconda ondata pandemica, esiste la necessità di razionalizzare le risorse al fine di poter garantire la giusta assistenza a ogni singolo cittadino in maniera commisurata alla gravità del quadro clinico. Una corretta gestione del caso fin dalla diagnosi consente di attuare un flusso che abbia il duplice scopo di mettere in sicurezza il paziente e di non affollare in maniera non giustificata gli ospedali e soprattutto le strutture di pronto soccorso”.
I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, “grazie alla presenza capillare nel territorio e alla conoscenza diretta della propria popolazione di assistiti, sia in termini sanitari che in termini sociali, devono giocare, in stretta collaborazione con il personale delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) e con eventuali unità di assistenza presenti sul territorio, un ruolo cruciale nell’ambito della gestione assistenziale dei malati Covid-19” per diversi aspetti.
La circolare sottolinea che, “anche in occasione di questa seconda ondata pandemica, esiste la necessità di razionalizzare le risorse al fine di poter garantire la giusta assistenza a ogni singolo cittadino in maniera commisurata alla gravità del quadro clinico. Una corretta gestione del caso fin dalla diagnosi consente di attuare un flusso che abbia il duplice scopo di mettere in sicurezza il paziente e di non affollare in maniera non giustificata gli ospedali e soprattutto le strutture di pronto soccorso”.
I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, “grazie alla presenza capillare nel territorio e alla conoscenza diretta della propria popolazione di assistiti, sia in termini sanitari che in termini sociali, devono giocare, in stretta collaborazione con il personale delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) e con eventuali unità di assistenza presenti sul territorio, un ruolo cruciale nell’ambito della gestione assistenziale dei malati Covid-19” per diversi aspetti.
“Nel caso di aggravamento delle condizioni cliniche, durante la fase di monitoraggio domiciliare, andrà eseguita una rapida e puntuale rivalutazione generale per verificare la necessità di una ospedalizzazione o valutazione specialistica, onde evitare il rischio di ospedalizzazioni tardive. E’ largamente raccomandabile che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale (mascherine, tute con cappuccio, guanti, calzari, visiera), i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta, anche integrati nelle Usca, possano garantire una diretta valutazione dell’assistito attraverso l’esecuzione di visite domiciliari”, si legge ancora nella circolare del ministero della Salute.
Argomenti: covid-19