L'infettivologo Puoti: "Sul numero record di decessi serve una riflessione seria"
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L'infettivologo Puoti: "Sul numero record di decessi serve una riflessione seria"

Lo specialista dell'ospedale Niguarda di Milano: ""Abbiamo un sistema sanitario nazionale che in virtù dei tagli che si sono susseguiti negli anni ha lavorato facendo le nozze con i fichi secchi"

L'infettivologo Puoti
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3 Dicembre 2020 - 20.56


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Parole prepoccupate mentre in troppi la fanno troppo facile: “E’ indubbio che Covid-19 è stata una tragedia sotto tanti punti di vista, sia nella prima che nella seconda ondata, che il numero dei morti è stato molto alto, e questo ci richiede una riflessione seria”.
E’ la visione di Massimo Puoti, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Niguarda di Milano, nel giorno in cui i dati dell’andamento della pandemia in Italia segnano un doloroso record, proprio alla voce dei decessi: 993 morti, più di quelli registrati nel giorno più buio della prima ondata (969 morti il 27 marzo, 919 tolti i 50 decessi risalenti a giorni precedenti e contabilizzati nel totale di quella data).
Cosa ha complicato la risposta alla pandemia in Italia? “Abbiamo un sistema sanitario nazionale che in virtù dei tagli che si sono susseguiti negli anni ha lavorato facendo le nozze con i fichi secchi. Forse quello che è venuto a galla da questa emergenza è che lavoravamo al limite – spiega lo specialista – Ognuno poi ha fatto le sue scelte e c’è chi per mantenere un sistema ospedaliero degno di questo nome ha tagliato il tagliabile. Sicuramente la medicina territoriale e la prevenzione sono finite in basso nella lista delle priorità su cui investire”.
“E’ stato chiesto perché in 6 mesi, finita la prima emergenza, non ci si sia organizzati. Ma non si considera che un anestesista, un medico di pronto soccorso, un infettivologo ci vogliono anni a formarlo”, osserva Puoti. Senza considerare le ‘uscite’: “Molti specialisti formati in Italia se ne sono andati all’estero. Non gli abbiamo dato carriere attraenti e un 10-20% ci ha lasciato. C’è quindi anche la fuga dei cervelli che ha un peso. Certe restrizioni le paghiamo, abbiamo tirato troppo”. Quanto ai morti, “forse dovremo indagare se c’è anche una base genetica. Per esempio anche guardando altre etnie come è possibile che i peruviani paghino un prezzo enorme alla malattia e altri no?”.
“Altro punto: ha un peso l’età della popolazione, il numero di pazienti cronici, ma basta a spiegare questa differenza dell’Italia in termini di perdite?”, sai chiede l’infettivologo. “Mi viene in mente la lapide di El Alamein: ‘Mancò la fortuna, ma non il valore’ – ragiona Puoti – Ad El Alamein forse mancò non la fortuna, ma i rifornimenti o armi degne. I nostri zii e nonni si buttavano sotto carri armati e sicuramente abbiamo avuto eroi”.
Ma Puoti rifiuta questa retorica dell’eroe che ha accompagnato la pandemia. “C’è stato un impegno immenso da parte dei medici e degli infermieri. Ma la mancata programmazione, un piano pandemico inadeguato, un Ssn che lavorava al limite, sono tutti aspetti che forse vanno valutati in questo quadro. Sicuramente è emerso che non abbiamo una riserva organizzativa tale per reggere la pressione di un numero elevato di casi con questo tipo di patologia”.
Insomma, conclude l’esperto, “a tante legittime domande non si potrà rispondere adesso, non certo con un dibattito in Tv. Serviranno studi e analisi tecniche. Ma senza dubbio questa tragedia ha messo in evidenza problemi su cui riflettere. E spero non si perda questa occasione”.

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