Quanto i geni dell'uomo di Neanderthal influenzano la reazione del nostro organismo al Covid-19
Top

Quanto i geni dell'uomo di Neanderthal influenzano la reazione del nostro organismo al Covid-19

I ricercatori Hugo Zeberg di Stoccolma e Svante Pääbo di Lipsia, mesi fa hanno scoperto un gene tramandato dai Neandertahl: alcuni tratti del nostro Dna ereditati sono protettivi, altri dannosi

Teschio di un uomo di Neanderthal
Teschio di un uomo di Neanderthal
Preroll

globalist Modifica articolo

30 Aprile 2021 - 13.16


ATF

L’eredità genetica dell’uomo di Neanderthal, nonostante la sua scomparsa sia avvenuta circa 40 mila anni fa, sembra sopravvivere e influenzare la reazione del nostro organismo all’infezione da Sars-CoV-2.
A dirlo sono i ricercatori Hugo Zeberg del Karolinska Institutet di Stoccolma e Svante Pääbo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, che mesi fa avevano scoperto un gene tramandato dai Neandertahl che aumentava le probabilità di ammalarsi gravemente di Covid-19, mentre più recentemente ne hanno individuati tre che riducono il rischio.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Pnas, fa emergere che questi tre geni ridurrebbero le probabilità di sviluppare una forma grave della malattia di circa il 22%. Essi si trovano uno accanto all’altro sul cromosoma 12.
Confrontando il Dna di 2.200 pazienti malati gravi di Covid-19 – che hanno ereditato i geni di tre uomini di Neanderthal vissuti rispettivamente 50 mila, 70 mila e 120 mila anni fa – i ricercatori hanno scoperto che chi possedeva versioni di Neanderthal dei geni Oas1, Oas2 e Oas3 aveva meno probabilità di sviluppare sintomi gravi della malattia. Tali geni, infatti, sono risultati in grado di produrre enzimi che attaccano il coronavirus.
Gli stessi ricercatori Hugo Zeberg e Svante Pääbo, come accennato, precedentemente avevano scoperto che alcuni geni localizzati sul cromosoma 3, ereditati circa 60.000 anni fa, sarebbero associati al rischio di insufficienza respiratoria in caso di infezione da Sars-CoV-2.
Le regione del cromosoma 3 deriva da una sequenza di Dna che comprende sei geni, anche questa ereditata dai Neanderthal.
È una sequenza genetica, rilevano gli autori della ricerca, presente nel Dna di circa la metà degli individui in Asia meridionale e nel 16% degli europei.
La ricerca indica in particolare che, in chi la sviluppato la Covid-19, questa eredità genetica è legata a un rischio tre volte maggiore di dover ricorrere alla ventilazione meccanica.
La conclusione si basa sull’analisi dei dati genetici di 3.199 pazienti con una forma severa di Covid-19 e sull’osservazione che alcune varianti genetiche presenti sul cromosoma 3 erano troppo frequenti per essere mutazioni casuali.
La regione genetica identificata è inoltre molto lunga in quanto comprende oltre 49.000 paia di basi che vengono trasmesse tutte insieme: un elemento, questo, che suggerisce che la sequenza sia stata introdotta tutta insieme nel Dna umano e che sia stata perciò ereditata. È scattata così la caccia alle origini di questi geni, a partire dall’analisi del Dna degli uomini di Denisova e di Neaderthal.
Nel genoma dei secondi è stata così individuata una regione molto simile alla sequenza genetica trovata nei pazienti con la forma grave della malattia. Secondo Zeberg e Pääbo la combinazione di geni è stata introdotta quando le due specie si sono incrociate, circa 60.000 anni fa. Ciò che ancora non è chiaro è il perchè questo frammento del cromosoma 3 aumenti il rischio di malattie gravi. Su questo aspetto, ha detto Pääbo, “noi e altri ricercatori stiamo già indagando”.
Un ulteriore studio ha invece messo sotto la lente d’ingrandimento la protezione fornita da una forma della proteina OAS1, che è probabilmente emersa nelle persone di discendenza europea attraverso l’incrocio con l’ominide decine di migliaia di anni fa. Un team del Lady Davis Institute (Ldi), attivo nel canadese Jewish General Hospital, ha scoperto che livelli aumentati di questa proteina sono associati tra i pazienti Covid a una mortalità ridotta e a una malattia meno grave che richiede meno ventilazione. Lo studio è pubblicato su Nature Medicine.
È probabile che la forma di proteina OAS1 sia servita proprio da protezione contro le precedenti pandemie. La pressione evolutiva ha lentamente aumentato la sua prevalenza ed è ora rilevabile in oltre il 30% per cento delle persone di origine europea. I ricercatori di questa realtà associata alla McGill University ritengono sulla base dei risultati della loro ricerca che l’utilizzo di farmaci in grado di aumentare i livelli di OAS1 possa essere esplorato per cercare di migliorare l’effetto scudo contro Covid.
“La nostra analisi evidenzia che OAS1 ha un effetto protettivo contro la suscettibilità a Covid e la sua gravità”, ha detto Brent Richards, ricercatore senior del Center for Clinical Epidemiology dell’istituto e docente della McGill University. Secondo lo studioso si tratta di “uno sviluppo entusiasmante nella corsa per identificare potenziali trattamenti per i pazienti. Ci sono già terapie in sviluppo preclinico che potenziano l’OAS1 e potrebbero essere esplorate per il loro effetto contro l’infezione da Sars-CoV-2″.
Gli scienziati hanno esplorato le proteine rilevabili nel sangue periferico come potenziali bersagli, cercando di capire quali di queste proteine svolgono un ruolo causale nella progressione della malattia e quali no, poiché i loro livelli possono anche essere influenzati dal Covid stesso o da altri fattori. Con analisi ad alta tecnologia gli esperti sono riusciti alla fine a comprendere quali proteine hanno influenzato gli esiti avversi della malattia. Dai determinanti genetici di 931 proteine circolanti, Sirui Zhou, primo autore dello studio, ha scoperto che l’aumento dei livelli di OAS1 era associato a ridotte mortalità, ventilazione, ospedalizzazione e suscettibilità a Covid in un numero di casi fino a 14.134 e 1,2 milioni di controlli.
I risultati sono risultati coerenti in più analisi. Gli esperti hanno misurato la proteina in 504 pazienti con diversi esiti della malattia (dati dal Biobanque Québec Covid-19) e hanno scoperto che i livelli aumentati di OAS1 nei pazienti post-infezione erano associati a una protezione. “L’effetto protettivo era particolarmente ampio”, sottolinea Zhou, “in modo tale che abbiamo osservato una diminuzione del 50% delle probabilità di decorso severo del Covid” legato a incrementati livelli circolanti di OAS1. “Per le popolazioni non africane, questo effetto protettivo è probabilmente ereditato dalla forma di OAS1 derivata dai Neanderthal, e chiamata p46”.
Il professor Brent Richards conclude: “La nostra raccomandazione è che farmaci che innescano livelli aumentati di OAS1” in fase di sviluppo preclinico “siano ulteriormente studiati per il loro effetto sugli esiti di Covid in modo che possiamo arrivare a trattare meglio i pazienti infetti”.

Native

Articoli correlati