Una piaga sociale ancora oggi molto rilevante e per cui ancora non è stata trovata purtroppo una cura specifica e una sfida per la scienza in tutto il mondo.
A parlare il virologo Giovanni Maga, direttore dell’l’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, alla vigilia dei 40 anni dalla segnalazione, il 5 giugno 1981, da parte dei Cdc americani, di quelli che si riveleranno essere i primi casi, documentati, di Hiv-Aids.
“L’Aids è una pandemia che dura da 40 anni, non siamo ancora riusciti a fermarla. Siamo riusciti, grazie ai progressi della medicina, a ridurre tantissimo il numero di vittime che, comunque, è ancora importante perché siamo a 700mila, almeno, ogni anno. Abbiamo oltre 37 milioni di persone che vivono con il virus e si concentrano nei Paesi più poveri”. Lo dice
“Il virus – continua Maga – circola ancora ovunque. Anche in Italia, dove si stima che diverse migliaia di persone non sanno di averlo. La lezione che ci deve insegnare questa pandemia, non ancora sconfitta, è che se si allenta l’attenzione il virus riprende forza”.
E il motivo “per cui la circolazione nei nostri Paesi più sviluppati non si è fermata è perché, rispetto alle campagne martellanti di prevenzione degli anni ’90, oggi l’attenzione verso questo virus è calata. C’è la percezione che il problema sia risolto. Non si muore più di Aids. Ma non si muore più in Occidente – sottolinea – mentre in molti altri Paesi ci sono molti decessi. E soprattutto, oggi, non si ricorda che se ci si infetta non si guarisce: l’infezione da Hiv è permanente, per tutta la vita. Può essere controllata con i farmaci ma è una condizione che ha un’influenza sulla qualità della vita. E non è una condizione banale. Il problema di non infettarsi è legato alla percezione del rischio. Sappiamo come si trasmette il virus, sappiamo come proteggerci e non lo facciamo più tanto perché ci siamo dimenticati che il virus c’è”, conclude Maga.
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