A dimostrazione che la scienza è l’unico strumento che abbiamo per contrastare il virus, arriva l’ultimo rapporto dell’Iss.
La protezione dei vaccini anti Covid-19 è “protratta nel tempo”.
I dati confermano quelli rilevati nel primo rapporto, relativi a 13,7 milioni di persone vaccinate: il rischio di morire scende del 95%, la riduzione di contagiarsi dell’80% e del 90% il rischio di finire in terapia intensiva. Il nuovo rapporto, riferito a circa 14 milioni di persone vaccinate con almeno una dose, arriva a una valutazione a oltre 130 giorni dalla somministrazione della prima dose.
Lo suggeriscono i dati più recenti, relativi a un periodo compreso fra 105 e 112 giorni dalla prima dose, contenuti nel secondo rapporto del gruppo di lavoro ‘Sorveglianza vaccini Covid-19’ di Istituto Superiore di Sanità (Iss) e ministero della Salute.
Il rapporto aggiorna quello del 15 maggio scorso ed è anche questo frutto dell’analisi congiunta dei dati dell’anagrafe nazionale vaccini e della sorveglianza integrata Covid-19.
Rispetto al rapporto precedente, nella popolazione studiata sono aumentati i soggetti vaccinati nella classe di età da 40 anni in su e si riscontra un aumento delle vaccinazioni con Pfizer/BioNTech e AstraZeneca e l’inizio delle somministrazioni del vaccino Johnson&Johnson.
Non sono disponibili né i risultati relativi a ciascun vaccino né alle due tipologie finora utilizzate (basate su Rna messaggero e vettore virale) in quanto “i vaccini sono stati introdotti in fasi successive e somministrati a popolazioni con diverso profilo di rischio”.
Per avere a disposizione risultati più solidi e confrontabili è quindi “necessario attendere un tempo di follow-up più lungo”.
L’analisi conferma come “i rischi di infezione da SarsCoV2, ricovero, ammissione in terapia intensiva e decesso diminuiscano rapidamente dopo le prime due settimane e fino a circa 35 giorni dopo la somministrazione della prima dose”.
Dopo i 35 giorni , prosegue il rapporto, “si osserva una stabilizzazione di questa riduzione, che è di circa l’80% per il rischio di diagnosi, il 90% per il rischio di ricovero e di ammissione in terapia intensiva e il 95% per il rischio di decesso”.
Gli effetti osservati sono inoltre “simili sia negli uomini che nelle donne e in persone in diverse fasce di età” e le riduzioni dei ricoveri sono “simili” per gli operatori sanitari e per gli ospiti delle Rsa.
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