In Italia, il vaccino AstraZeneca è considerato già come un nemico, tanto da essere sconsigliato tra le donne giovani dopo il caso della ragazza ligure morta a 18 anni per una trombosi.
E proprio sui trombi rari che sembrano essere provocati dal vaccino si sono concentrate diverse ricerche.
Una delle più promettenti è stata messa in campo dalla McMaster University, ateneo dell’Ontario, Canada. Un mix di farmaci ha sciolto i trombi e salvato diverse vite.
A dare speranza è lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e che ora è al vaglio della comunità scientifica. La combinazione di anticoagulanti e di immunoglobuline somministrati per via endovenosa ha salvato almeno tre pazienti che si erano da poco sottoposti a vaccinazione anti covid. I trombi rari che si sono sviluppati in queste settimane hanno delle caratteristiche comuni: la diminuzione delle piastrine nei 5/15 giorni successivi all’inoculazione del vaccino oppure quando gli anticorpi, probabilmente stimolati dal vaccino, attaccano una proteina del sangue, nello specifico la PF4. In entrambi i casi le piastrine si accumulano e creano dei grumi potenzialmente letali se non sciolti.
La terapia messa a punto dalla McMaster University ferma le piastrine dall’insana aggregazione e soprattutto, grazie agli anticoagulanti, scioglie i trombi. Una terapia in realtà non nuova, è stata già utilizzata in alcune malattie del sangue o per il trattamento della trombocitopenia, complicazione legata all’uso dell’eparina.
I tre pazienti salvati – Sono tre i casi di persone affetti da trombocitopenia successiva alla somministrazione del vaccino AstraZeneca: pazienti tra i 63 e 72 anni.
Due hanno sviluppato trombosi arteriose alle gambe, un terzo una trombosi venosa cerebrale. A tutti è stata somministrata un’alta dose di immunoglobuline IVIG per inibire gli anticorpi dei pazienti.
Per tutti c’è stato un aumento esponenziale delle piastrine grazie alla somministrazione delle immunoglobuline.
Chiaro segnale che i trombi si erano sciolti e l’attività di coagulazione si era interrotta. Adesso la parola passa alla comunità scientifica che dovrà testare questa possibile cura per poter poi stabilire se trasformarla in un protocollo mondiale.
Argomenti: Salute