Abrignani: "Un'eventuale terza dose di vaccino può servire per i più fragili e per gli anziani"
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Abrignani: "Un'eventuale terza dose di vaccino può servire per i più fragili e per gli anziani"

L'immunologo membro del Cts: "Possiamo aspettare ancora un po' prima di somministrarla. L'importante è arrivare all'80% di copertura"

Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano
Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano
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13 Agosto 2021 - 10.48


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Ora si guarda in modo sempre meno scettico ad un’eventuale terza dose di vaccino anti-Covid. 
“Potrebbe servire a dare un boost, cioè un potenziamento della risposta immunitaria, a chi ha già chiuso il ciclo. Sappiamo, grazie all’esperienza su altri vaccini, come quello contro l’epatite B, che una nuova somministrazione dà un rinforzo rispetto alle prime due dosi”. Così Sergio Abrignani, membro del Cts e immunologo dell’Università di Milano, a ‘La Repubblica’ sulla possibilità di una terza dose di vaccino.
Alla domanda se la terza inoculazione possa servire contro le varianti, spiega che “contro quelle esistenti, come la Delta, sì, perché abbiamo visto che il vaccino copre al 90-95% dalle forme gravi e a circa al 70-80% contro l’infezione. Se per caso dovesse venire fuori in futuro una variante che sfugge e purtroppo dovesse prendere il sopravvento, allora sarà necessario fare un richiamo con un vaccino diverso, quindi non con il booster”. Sulla tempistica precisa che “possiamo aspettare ancora un po’ prima di fare le terze dosi, l’importante è arrivare all′80% di copertura. Israele è già partito ma loro hanno iniziato a vaccinare a fine novembre 2020, noi, a parte i medici e tutto il personale sanitario, siamo partiti a febbraio”.
Ma a chi andrà destinata la terza dose? “In questo momento nel mondo occidentale circa il 98% dei morti ha più di 60 anni – ha risposto – quindi si va verso una terza dose per queste persone. Prima però ci sono da proteggere i fragili che rispondono poco al vaccino a causa delle loro condizioni. Si tratta ad esempio di soggetti che fanno la chemioterapia, che hanno sindromi di immunodeficienza, oppure che assumono alte dosi di cortisone. Non sono tanti nel nostro Paese, al massimo mezzo milione di persone”.

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