Uno studio che dimostra quanto sia importante la ricerca e che solo grazie ad essa possiamo riuscire a uscire definitivamente dalla pandemia.
Il virus che causa Covid oggi non è lo stesso che ha fatto ammalare per la prima volta le persone nel dicembre 2019.
E ormai questo è un concetto ben noto al grande pubblico, che ha imparato cosa sono le varianti e quanto è importante monitorarle.
Alcune di quelle attualmente in circolazione sono risultate parzialmente resistenti ad alcune delle terapie a base di anticorpi sviluppate sulla base del virus originale.
Un team di scienziati ha affrontato il problema e ha identificato un anticorpo che dai loro studi appare essere “altamente protettivo a basse dosi contro un’ampia gamma di varianti virali”.
I risultati del loro lavoro sono pubblicati online sulla rivista ‘Immunity’.
“Man mano che la pandemia continua, inevitabilmente sorgeranno più varianti e il problema della resistenza non farà che aumentare”, è la premessa su cui poggia la loro ricerca.
Gli autori, studiosi della Washington University School of Medicine di St. Louis hanno concentrato la loro attenzione su un anticorpo che si lega a una parte del virus che differisce poco tra le varianti, il che significa che è improbabile che insorgano resistenze in questo punto. La ricerca potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie a base di anticorpi che hanno meno probabilità di perdere la loro potenza quando il virus muta.
“Gli anticorpi attuali possono funzionare contro alcune ma non tutte le varianti”, ha affermato l’autore senior del lavoro, Michael S.
Diamond. “Il virus continuerà probabilmente ad evolversi. Avere anticorpi ampiamente neutralizzanti ed efficaci che funzionano individualmente e possono essere accoppiati per creare nuove combinazioni probabilmente preverrà la resistenza”. Per trovare anticorpi neutralizzanti che funzionano contro un’ampia gamma di varianti, i ricercatori hanno iniziato immunizzando i topi con una parte chiave della proteina Spike nota come dominio di legame al recettore (Rbd). Quindi, hanno estratto le cellule che producono anticorpi e ne hanno ottenuti 43 che riconoscono questa parte della Spike. Poi hanno misurato quanto efficacemente questi anticorpi erano in grado di impedire l’infezione delle cellule in vitro.
Nove degli anticorpi che si sono rivelati più potenti sono stati testati sui topi per vedere se potevano proteggere dalla malattia gli animali infettati da virus originale. Diversi anticorpi hanno superato entrambi i test, con vari gradi di potenza.
Gli scienziati hanno selezionato i due più efficaci e li hanno testati contro le varianti di preoccupazione Alfa, Beta, Gamma e Delta e anche su due varianti di interesse (Kappa e Iota) e diverse altre senza nome che vengono monitorate come potenziali minacce.
Un anticorpo, SARS2-38, ha neutralizzato facilmente tutte le varianti.
Inoltre, una versione umanizzata di SARS2-38 ha protetto i topi contro le malattie causate da due varianti: Kappa e un virus contenente la proteina spike della variante Beta. La variante Beta è notoriamente più resistente agli anticorpi, quindi la sua incapacità di resistere a SARS2-38 è particolarmente notevole, hanno osservato i ricercatori.
Gli esperti non si sono fermati qui e hanno anche individuato il punto preciso sulla proteina spike riconosciuto dall’anticorpo identificando due mutazioni che potrebbero, in linea di principio, impedire all’anticorpo di funzionare. Tuttavia, queste sono estremamente rare nel mondo reale (in un database di quasi 800.000 sequenze di Sars-CoV-2 le hanno trovate solo nello 0,04%).
“Questo anticorpo è sia altamente neutralizzante (nel senso che funziona molto bene a basse concentrazioni) che ampiamente neutralizzante (nel senso che funziona contro tutte le varianti)”, conclude Diamond specificando che questa combinazione è insolita e molto desiderabile. Inoltre, si lega a un punto unico sulla proteina spike che non è preso di mira da altri anticorpi in fase di sviluppo.
“Potremmo iniziare a pensare di combinare questo anticorpo con un altro che si lega da qualche altra parte per creare una terapia combinata a cui sarebbe molto difficile resistere per il virus”, chiosa l’esperto.
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