Il mondo è ripiombato nell’incubo della variante Covid a causa della variante proveniente dall’Africa. Tutti i Paesi, ad iniziare da quelli europei, prendono misure e contro misure per arginare la nuova “ondata di marea” da Omicron, come l’ha definita ieri il premier britannico Bojo.
“Aspettiamo pazientemente di mettere qualche numero vero sulla infettività e sulla patogenicità di Omicron, sia ‘intrinseche'” a questo mutante di Sars-CoV-2, “che in relazione all’effetto dei vaccini” anti-Covid, “prima di azzardare conclusioni definitive su quale sia l’approccio migliore alla nuova variante in termini di interventi non farmacologici (le cosiddette restrizioni). Nel frattempo, invece, acceleriamo con le terze dosi.
Perché in qualsiasi scenario il loro effetto sarebbe altamente positivo nel ridurre la patogenicità, tanto di Omicron come delle altre varianti” del coronavirus pandemico.
Il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory Università di Atlanta e fondatore della pagina social ‘Pillole di ottimismo’, rintuzza i dispensatori di quelle che chiama “supposte di pessimismo” e invita ad attendere le evidenze prima di avventurarsi in previsioni di restrizioni future.
“I dati clinici iniziali che vengono dal Sudafrica – ricorda – suggeriscono che la variante Omicron possa causare una malattia meno severa di quella causata dalle altre varianti di Sars-CoV-2”.
Ma “su questo punto – puntualizza – preferirei aspettare fino al 15 gennaio prima di iniziare a tirare delle conclusioni ed eviterei di diffondere ingiustificati entusiasmi. Ci vogliono più tempo e molti più dati, che arriveranno senza dubbio alcuno”.
“Nel frattempo, tuttavia – prosegue lo scienziato – provo a riflettere su un ragionamento fatto, con sfumature diverse, da numerosi colleghi, più o meno illustri: se una variante di Sars-CoV-2 è molto più infettiva di un’altra e viene lasciata circolare liberamente, non importa quanto sia meno severa dal punto di vista clinico, perché dopo un periodo iniziale le ospedalizzazioni procurate dalla variante più infettiva supereranno largamente quelli della variante meno infettiva ma più patogenica, in quanto il numero totale dei casi sarà talmente alto da far aumentare comunque, e di molto, anche quello dei casi severi.
Ma è giusto questo ragionamento? Well, yes and no, direbbero dalle mie parti. Nel senso che dipende da quanto la nuova variante sia più infettiva e da quanto sia meno patogenica”.
“In altre parole – precisa Silvestri – se il fattore ‘infettività’ aumentasse di molto e il fattore ‘patogenicità’ calasse di poco, questo quadro si verificherebbe sicuramente. Ma se la patogenicità dovesse calare di molto, magari per motivi virologici intrinseci combinati all’effetto dei vaccini, per arrivare ad un aumento dei casi severi bisogna postulare aumenti di infettività estremamente improbabili in real life”.
“Per chiarire, provo a buttare giù qualche numero. Se Omicron – esemplifica il virologo – fosse 10 volte meno patogenica delle altre varianti, per avere lo stesso numero di ricoveri in terapia intensiva avuti finora negli Usa bisognerebbe avere, nei prossimi 20 mesi, 507 milioni di infezioni, cioè 10 volte di più di quelle avute finora”.
Ma “se per ipotesi Omicron fosse 50 volte meno severa, per ‘salvare’ il ragionamento di cui sopra servirebbero 2 miliardi e 535 milioni di nuove infezioni nei prossimi 20 mesi. Siccome i cittadini Usa sono 330 milioni, occorrerebbe che mediamente ciascun americano, nessun escluso, si beccasse il Covid per ben 8 volte da qui all’ottobre 2023”.
“Francamente – chiosa lo scienziato – temo che quest’ultimo scenario sia troppo anche per il più focoso amante delle supposte di pessimismo, per non parlare di come questo modo di pensare non sia compatibile con i principali paradigmi sul funzionamento del sistema immunitario e sulla interazione tra virus ed ospiti”.